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Investigazione e intelligence, cosa succede in Italia

Di Francesco Sidoti

Estratto dal libro “Intelligence e scienze umane” a cura del prof. Mario Caligiuri, edito da Rubbettino. Il volume sarà presentato il 27 gennaio alle ore 10 nella sala stampa della Camera

Nel settore dell’investigazione, gli errori e le incertezze italiane sono niente, se confrontate a quanto avviene in altri Paesi. Non sto a parlare soltanto dell’America di George W. Bush o della Russia di Vladimir Putin. Basta spostarsi a un chilometro da Chiasso. Esistono dei ritardi italiani. Ma per averne parlato diffusamente e con spirito costruttivo, non vorrei essere frainteso. Abbiamo il migliore sistema investigativo del mondo, che ha permesso di catturare i Provenzano, i Riina, i Lo Piccolo; in Calabria stanno sviluppando operazioni assai incisive; la Campania di Gomorra non è soltanto quella descritta da Roberto Saviano: è anche la regione dove le forze dello Stato stanno lavorando efficacemente per la sicurezza, con arresti, confische, processi, sparatorie. Contemporaneamente noi abbiamo delle difficoltà enormi. L’avventura in Italia della banca dati del dna sembra una barzelletta. Chiunque è del settore sa che è una cosa di cui dobbiamo vergognarci.

Non mancano esclusivamente alcuni strumenti tecnici e alcune garanzie operative (in termini di certezza della pena e in termini di garanzie operative), manca una diffusa cultura dell’investigazione, che esiste magnificamente tra molti specialisti, ma non esiste a ogni livello politico, accademico, giornalistico, editoriale. I tempi non sono facili e molti sottovalutano il problema, credendo che ci sia soltanto un’industria della paura. In un Paese garantista come l’Inghilterra (anzi, il Paese che ha inventato il garantismo e poi lo ha insegnato ad allievi spesso mentalmente e istituzionalmente ritardati) hanno dato poteri straordinari alla polizia, hanno riempito le strade di telecamere, hanno permesso l’intercettazione anche della posta elettronica e hanno milioni di persone schedate con il dna. Abbiamo più di un ritardo rispetto agli altri Paesi, nell’investigazione e nell’intelligence. È un ritardo complessivo, che non riguarda unicamente questi settori e contro il quale nel sistema-Paese non si trovano rimedi pertinenti. I nostri rapporti con le strutture dei Paesi alleati sono stati caratterizzati da un isolamento precedentemente sconosciuto.

In un contesto caratterizzato da fatti come le dichiarazioni del presidente della Commissione parlamentare sul terrorismo che ha sostenuto che gli agenti di Paesi alleati sono stati impegnati in attività di intelligence contro obiettivi italiani.
Senza nulla togliere al nostro eroismo, alla nostra capacità di saper fare in tanti campi meglio degli altri, viviamo purtroppo e innegabilmente questo ritardo complessivo, in quanto imperfetta knowledge society, testimoniato dai Nobel che non abbiamo, dai brevetti che non abbiamo, dai posti che non abbiamo in tutte le classifiche sull’eccellenza universitaria, dovunque siano fatte, da Londra a Shanghai. Insegno a l’Aquila, dove è avvenuta una tragedia dell’incompetenza: dopo
due mesi di scosse continue, una settimana prima del terremoto era stata convocata la Scienza, sotto le vesti della Commissione grandi rischi. Disse che si trattava di un normale sciame sismico.

Nessun allarme, perfettamente in linea con una situazione socialmente caratterizzata da diffusa sottovalutazione o completa ignoranza del rischio sismico.
Dopo qualche giorno, trecento morti e una città disastrata. Sto per pubblicare un volume in proposito. C’è il dovere di creare uno stato di allarme, se l’allarme è motivato. Bisogna che si prendano le misure coerenti con l’allarme motivato.

Spesso soffriamo di uno dei due estremi; un eccesso di allarmismo può procurare l’effetto opposto: la paura del procurato allarme e il silenzio colposo: una forma di menefreghismo (chiedo scusa per il vocabolo poco accademico, ma a volte bisogna essere chiari e non sono stato in grado di trovare un termine asettico).
Noi siamo un Paese in cui purtroppo esiste molta meritofobia e poco meritocrazia, a cominciare dalle università, come hanno dimostrato tante indagini giudiziarie. Anche nell’intelligence e nell’investigazione vige lo stesso sistema? Insieme ai ritardi, a ben vedere, ci sono indubbie eccellenze del sistema italiano, che debbono essere messe in luce insieme ai ritardi. Non sempre c’è un piena consapevolezza in proposito dei nostri grandi meriti nazionali.

Sul piano internazionale, i temi della legalità diventano dovunque sempre più complessi. Nella trattazione autorevole di Naim, molte nuove illegalità sono state potenziate dai processi di globalizzazione: dal 1990, scambi, investimenti, innovazione tecnologica hanno caratterizzato il commercio internazionale, in maniera senza precedenti nella storia. I traffici illeciti sono cresciuti parallelamente, raggiungendo una diffusione senza precedenti. “Le attività criminali globali stanno trasformando il sistema internazionale, sovvertendo le regole, creando nuovi attori e riconfigurando il potere politico ed economico internazionale”. Questo, si dice, è il nuovo tallone d’Achille del capitalismo.

In Italia su questi temi c’è una competenza enorme, superlativa, unica, che ci ha permesso risultati straordinari rispetto ad ogni altro Paese. Tutti i governi che si sono succeduti in Italia dal 1989 (quando, con il nuovo codice, è nato l’attuale sistema investigativo), hanno lasciato indipendente e intatto questo nostro sistema investigativo, che è all’italiana nel senso migliore del termine. Ne possiamo essere orgogliosi nel mondo. Come è stato osservato, gli anni Novanta erano iniziati con stragi tremende, ma dopo si assiste al netto e ammirevole sopravvento dello Stato sul crimine organizzato. Si può discutere se il sistema mafioso sia stato completamente sconfitto, oppure sia rinato sotto altre spoglie oppure si sia riadattato e riassemblato. Ma è sicuro che così com’era organizzato, quel sistema mafioso (rappresentato dai due capi storici, Riina e Provenzano) è stato sconfitto, tanto è vero che sta in galera. Dopo il sacrificio di molti magistrati e grazie all’intervento di altri magistrati, sono stati scoperti e condannati i colpevoli di efferati delitti. Un trionfo a livello internazionale del made in Italy.
Non viene riportato nelle classifiche, ma è stato un trionfo. Bisognerebbe che qualcuno informi Transparency International.

Insieme ai successi enormi e insperati contro la mafia palermitana, ce ne sono molti altri, inclusi quelli straordinari contro i mammasantissima della ’ndrangheta e della camorra. I successi sono spesso relegati nelle pagine minori della stampa. Questo sistema investigativo si è imposto con grande difficoltà e generando anche qualche arbitrio.

In un mondo imperfetto, è un sistema investigativo imperfetto, che comunque bisogna valutare considerando insieme meriti e demeriti, pregi e difetti. Nel tempo si è affermata in Italia una metodologia che ha trionfato, indipendentemente dalle stesse divisioni esistenti nella magistratura, che è un corpo niente affatto omogeneo, politicamente e culturalmente, mentre è omogeneo un modello che si è imposto su tutte le differenze esistenti nella magistratura, nella politica, nelle forze dell’ordine.

In nessun altro Paese al mondo i vertici del potere politico ed economico sono stati così indagati. In nessun altro Paese c’è una tale tradizione di operatori liberi, preparati, consapevoli dei rischi mortali di un’indagine seria e tuttavia inclini ad affrontarli. In nessun altro Paese al mondo, la criminalità organizzata è stata investigata, indagata, inseguita, arrestata, processata, condannata, incarcerata, come in Italia. Se fosse la peggiore criminalità del mondo, come dicono alcuni, allora ha trovato gli avversari migliori.

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