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Pensioni, cosa cambia con la Legge di stabilità

Di Michele Poerio e Carlo Sizia

La misura delle nostre pensioni nel 2016 nasce sostanzialmente da tre provvedimenti:

1) Decreto dell’Economia del 19/11/2015, che ha stabilito che la perequazione automatica da attribuire in via previsionale nel 2016 (salvo conguagli successivi) è pari allo 0,0%;

2) le certificazioni definitive dell’ISTAT sui tassi di svalutazione del 2014 sul 2013 (base per la perequazione 2015), che hanno determinato la necessità di recuperare (conguaglio negativo di – 0,1%) la differenza tra perequazione provvisoria applicata nel 2015 (+ 0,3%) e perequazione definitiva dovuta (+ 0,2%), infatti nel corso del 2014 il tasso di svalutazione ha avuto andamento decrescente;

3) l’art. 1 della legge 208/2015 (stabilità 2016), i cui commi 288 e 287 hanno stabilito di rinviare di un anno il conguaglio negativo dovuto, a inizio 2016, per recuperare il differenziale tra perequazione previsionale e definitiva del 2015 e che, d’ora innanzi, anche a fronte della variazione negativa dell’indice Foi (prezzi al consumo, senza tabacchi, per famiglie di operai ed impiegati), l’indicizzazione delle prestazioni previdenziali ed assistenziali non potrà essere negativa.

Tuttavia se, come probabile, i prezzi al consumo non saranno saliti nel 2015 (causa deflazione) il problema della restituzione (conguaglio negativo) si riproporrà anche nel 2017.

LE PROSPETTIVE PER IL 2016

Le pensioni in godimento, quindi, non cresceranno nel 2016, tranne che per le “code” del d.l. 65/2015 (convertito in legge 109/2015) che, in applicazione parziale e distorta della sentenza 70/2015 della Corte costituzionale, ha deciso di restituire nel 2016 (ai fruitori di pensione tra 3 e 6 volte il minimo INPS, cioè tra 1.505,67 e 3.011,34 € lordi mensili), come bonus (sic!), il parziale  riconoscimento della mancata indicizzazione patita, nel biennio 2012 e 2013, a seguito della legge Fornero. Si tratta di modeste cifre: da circa 20 € mensili lordi a decrescere fino a meno di 10 €, a seconda che le pensioni siano di importo tra 3 e 4 volte, tra 4 e 5volte o tra 5 e 6 volte il  minimo INPS. Le somme parziali e forfettarie restituite a queste categorie di pensionati nel 2015 e 2016 diventeranno, dal 2017, parte integrante della loro pensione e pertanto saranno rivalutate nella loro interezza.

Infine, la Circolare INPS 210/2015 (del 31/12) ha ufficializzato la misura delle pensioni 2016. È utile ricordare i seguenti importi mensili 2016: trattamento minimo INPS: 501,89 € (cioè minimo INPS 2015 di 502,39 – 0,1%); pensione sociale: 369,26 €; assegno sociale: 448,07 €; invalidità civile totale: 279,47 €.

La legge di stabilità 208/2015 (art. 1, c. 286) ha poi stabilito di prorogare per altri 2 anni (dal 31/12/2016 al 31/12/2018) il sistema di indicizzazione delle pensioni introdotto dalla legge 147/2013 del Governo Letta (100% fino a 3 volte il minimo INPS; 95% tra 3 e 4 volte; 75% tra 4 e 5 volte; 50% tra 5 e 6 volte; 45% oltre 6 volte il minimo INPS). Si tratta di un meccanismo nettamente peggiorativo rispetto a quello consolidato della legge 388/2000, infatti non solo riduce pesantemente la percentuale di perequazione al crescere della misura della pensione, ma anche perché la rivalutazione opera in una unica misura percentuale sull’intero importo spettante, anziché, anche se in modo decrescente, secondo le varie fasce d’importo, elevate per l’occasione da 3 a 5.

LE PENSIONI DI REVERSIBILITÀ

Rimane anche nel 2016 la riduzione delle pensioni di reversibilità (rispetto all’aliquota ordinaria propria delle pensioni INPS ed ex INPDAP, che è del 60%) in base al reddito del beneficiario o beneficiaria superstite. Questi i valori dell’abbattimento, espressi in percentuale rispetto al reddito annuale del superstite, misurato in multipli del minimo INPS:

– reddito tra 3 e 4 volte (fino a 19.537,71 €): – 0% (nessuna riduzione);

– reddito tra 3 e 4 volte (oltre 19.537,71 e fino a 26.098,28 €): – 25%;

– reddito tra 4 e 5 volte (oltre 26.098,28 e fino a 32.622,85 €): – 40%;

– reddito oltre 32.622,85 €: riduzione del 50%.

COSA STABILISCE L'”OPZIONE DONNA”

L’art. 1, comma 281, della legge 208/2015 ha stabilito che per godere della “opzione donna” introdotta dalla legge Maroni 243/2004 è necessario e sufficiente, entro il 31/12/2015, maturare i requisiti richiesti (35 anni di contributi e 57 anni e 3 mesi di età, se dipendenti, o 58 anni e 3 mesi, se autonome) e non anche la decorrenza della pensione. La distinzione “pesa”, infatti, a causa delle finestre mobili, tra maturazione dei requisiti e decorrenza della pensione trascorrono 12-18 mesi (rispettivamente per le dipendenti e le autonome). Forse saranno attorno alle 30.000 unità le donne che, finora escluse prima di questa interpretazione estensiva, potranno scegliere tale opzione, che tuttavia, a causa del calcolo interamente contributivo della loro pensione, avranno un assegno ridotto circa del 25% (riteniamo, pertanto, che le fruitrici saranno ben inferiori a 30.000 unità).

LE PENALIZZAZIONI SULLE PENSIONI ANTICIPATE

L’art. 1, c. 299, della legge 208/2015 mitiga gli effetti negativi introdotti dalla legge Fornero (n. 214/2011) sulle pensioni anticipate conseguite con i requisiti contributivi richiesti, ma prima dei 62 anni di età (penalizzazione dell’1% sulla quota retributiva della pensione per ogni anno mancante ai 62 anni e del 2% per ogni anno ulteriore mancante oltre ai primi 2). Già la legge di stabilità 2015 (L. 190/2014) aveva sospeso dall’1/01/2015 la penalizzazione per quanti avessero maturato i requisiti contributivi entro il 31/12/2017, ora la legge di stabilità 2016 sospende le penalizzazioni (ma solo dal 1/01/2016, quindi senza corresponsione degli arretrati) anche sui trattamenti pensionistici anticipati maturati negli anni 2012, 2013, 2014. A legislazione vigente, le penalizzazioni dovrebbero tornare dall’1/01/2018 se il lavoratore, al momento del pensionamento, avrà meno di 62 anni di età.

I LIBERI PROFESSIONISTI

L’art. 1, c. 203, della legge 208/2015, conferma per il 2016 l’aliquota contributiva del 27% per i professionisti iscritti alla Gestione separata INPS e non iscritti ad altre Casse di previdenza e non pensionati, a cui va aggiunto lo 0,72% destinato alle misure assistenziali. Per i liberi professionisti iscritti ad altre forme di previdenza o pensionati, l’aliquota passa dal 23,5 al 24% (senza oneri assistenziali aggiunti).

ESODATI E NO TAX AREA

La legge di stabilità 2016 attua una settima salvaguardia per circa 30.000 “esodati”. Si tratta delle stesse categorie di lavoratori già tutelati dalle salvaguardie precedenti, per i quali viene portato al 6 gennaio 2017 il termine ultimo entro cui maturare i requisiti per la pensione in base alle regole in vigore prima della legge Fornero.

Infine la legge 208/2015 (art. 1, c. 290) estende, a partire dal 2016, la no-tax area (area reddituale che gode di esenzione fiscale) da 7.500 a 7.750 € per i pensionati con meno di 75 anni e da 7.750 a 8.000 € per i titolari di prestazioni con almeno 75 anni. In pratica, tale incremento si traduce in un risparmio IRPEF contenuto, che decresce all’aumentare del reddito fino al limite di 15.000 €. Oltre tale reddito, le detrazioni rispetto al 2015 non registrano modifiche.

Salvo proroghe, il 2016 dovrebbe essere l’ultimo anno in cui si applica il “contributo di solidarietà” (- 6%; – 12%; – 18%) sulle pensioni di importo oltre le 14, 20, 30 volte il minimo INPS (norma di significato espropriativo, introdotta dalla legge Letta 147/2013).

COSA CAMBIA NEL 2016

Dal 2016 (e per un triennio), tenuto conto degli adeguamenti alla speranza di vita certificati dall’ISTAT, nonché della legge Fornero, cambiano i requisiti per accedere alla pensione: per le pensioni di vecchiaia occorreranno 66 anni e 7 mesi (per lavoratori dipendenti pubblici e privati, per le lavoratrici del pubblico e per gli autonomi); 65 anni e 7 mesi per le lavoratrici dipendenti del settore privato, mentre per le autonome saranno necessari 66 anni e 1 mese, sempre con  un requisito contributivo di almeno 20 anni.

Per le pensioni anticipate occorreranno: 42 anni e 10 mesi (per i lavoratori dipendenti del settore pubblico e privato e per i lavoratori autonomi); 41 anni e 10 mesi (per le donne, sia del pubblico che del privato, e per le autonome). Per le pensioni sociali occorreranno 65 anni e 7 mesi.

UN INCIDENZA NON CATASTROFICA, MA NON FAVOREVOLE

Come è evidente, l’incidenza della legge di stabilità 2016 sulle pensioni in godimento non è catastrofica, anche se non appare favorevole per il “ceto medio”, rappresentato dai pensionati con le pensioni medio-alte (proroga per un biennio della cattiva indicizzazione delle pensioni introdotte dal Governo Letta; reiterati blocchi o tagli della indicizzazione pensionistica; esclusione dai benefici della no-tax area, ecc.).

I POSSIBILI INTERVENTI FUTURI

Ben più preoccupa la volontà del Governo  di intervenire nel 2016 attraverso una nuova legge di riforma previdenziale, preceduta dalla rassicurante affermazione di mirare alla “flessibilità in uscita”. In realtà, sia Renzi, che il prof. Boeri (Presidente INPS), che il Ministro Poletti (Ministro Padoan “non pervenuto”) parlano di voler intervenire sulle pensioni “d’oro” (che per loro sarebbero quelle oltre 2.500 – 3.000 € mensili lordi).

In particolare il prof. Boeri (intervista a pag. 28 de “Il Sole – 24 Ore” del 20/11/2015) parla esplicitamente di “non indicizzare le pensioni tra 3.500 e 5000 € mensili lorde”, nonché di “aggiustare” le pensioni oltre i 5.000 € mensili lordi, trattandosi “solo” di 250.000 persone su oltre 16 milioni di pensionati.

Il neo-Robin Hood dell’INPS mi pare richiamare, nella sua furia giustizialista, il compagno Fausto Bertinotti, che gioiva al pensiero che “anche i ricchi (pardon: meno poveri) devono piangere”.

E pensare che sono proprio le pensioni oltre le 6 volte il minimo INPS (e ancor più quelle oltre 8 volte il minimo) quelle che negli ultimi 11 anni (2008-2018) hanno subito (con perdite permanenti almeno del 25%):

– per 3 anni (2008, 2012 e 2013) la totale assenza di rivalutazione;

– per 5 anni (2014-2018) una indicizzazione ridicola (45% sull’importo totale dell’assegno);

– contributi di solidarietà di chiaro significato espropriativo sulle pensioni di importo oltre le 14 volte il minimo INPS (periodo 2014-2016).

Da precisare che il contributo di solidarietà, previsto nel 2011 a valere dall’agosto 2011 al dicembre 2014 sulle pensioni oltre 90.000 € lordi/anno (- 5% ) e oltre 150.000 € (-10%) è già stato dichiarato incostituzionale dalla Consulta (sentenza 116/2013);

– unico “intervallo libero” dall’accanimento sulle pensioni anzidette (oltre 6 – 8 volte il minimo INPS) è stato il triennio 2009-2011 (3 anni su 11, cioè il 27% del periodo).

Si scordino quindi, Governo, Ministri in carica o Ministri mancati, di insistere ancora con prelievi illegittimi dalle tasche dei pensionati per tappare buchi di bilancio vecchi e nuovi dovuti a sprechi elettoralistici: in tal malaugurato caso i bastoni che abbiamo agitato in aria davanti alla Camera ed a Palazzo Chigi nel dicembre 2013 al grido “Vergogna, rubare dalle pensioni dei pensionati”, vedremmo questa volta di “appoggiarli” su obiettivi più concreti e sensibili.

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