“Al-Sisi ha ottenuto il controllo del Parlamento con il più alto numero di poliziotti e militari della storia del Paese mentre l’Egitto è in coda a tutte le classifiche mondiali per rispetto della libertà di stampa”. È questo l’incipit dell’articolo inviato da Giulio Regeni alla redazione del Manifesto a metà gennaio. Il giovane ricercatore aveva chiesto, anche quella volta, di pubblicarlo con uno pseudonimo. Ma oggi, all’indomani del ritrovamento del suo cadavere in un fosso vicino al Cairo, il giornale ha deciso di pubblicarlo con il vero nome. “Sfidare lo stato di emergenza e gli appelli alla stabilità e alla pace sociale giustificati dalla ‘guerra al terrorismo’ – è la conclusione dell’articolo – significa oggi, pur se indirettamente, mettere in discussione alla base la retorica su cui il regime giustifica la sua stessa esistenza e la repressione della società civile“.
SFIDE SOCIALI
L’ultimo articolo di Regeni racconta lo stato dei sindacati indipendenti in Egitto, in un contesto non poco convulso: “Negli ultimi due anni, repressione e cooptazione da parte del regime hanno seriamente indebolito queste iniziative, al punto che le due maggiori federazioni (la Edlc ed Efitu) non riuniscono la loro assemblea generale dal 2013”.
Molte anche le sue valutazioni e le critiche alle misure prese dal governo di Al-Sisi: “Sfidare lo stato di emergenza e gli appelli alla stabilità e alla pace sociale giustificati dalla ‘guerra al terrorismo’, significa oggi, pur se indirettamente, mettere in discussione alla base la retorica su cui il regime giustifica la sua stessa esistenza e la repressione della società civile”.
IL CONVEGNO CTUWS
L’articolo di Regeni si sofferma sull’incontro tra i sindacati indipendenti al Centro Servizi per i Lavoratori e i Sindacati (Ctuws). “Sebbene la sala più grande del Centro abbia un centinaio di posti a sedere – è scritto – la sera dell’incontro non riusciva a contenere il numero di attiviste e attivisti sindacali giunti da tutto l’Egitto…”.
Regeni spiega che Ctuws non è rappresentativo della complessa costellazione del sindacalismo indipendenti egiziano, ma l’appello è stato raccolto da un numero molto significativo di sindacati: “L’esigenza di unirsi e coordinare gli sforzi però è molto sentita, e lo testimonia la grande partecipazione all’assemblea, oltre ai tanti interventi che hanno puntato il dito contro la frammentazione del movimento”.
ALLA RICONQUISTA DI DIRITTI
Tra le conclusioni dell’assemblea c’è stata la decisione di formare un comitato rappresentativo con l’obiettivo di porre le basi per una campagna nazionale sui temi di lavoro e delle libertà sindacali: “L’agenda sembra decisamente ampia, e include tra gli obiettivi fondamentali quello di contrastare la legge 18 del 2015, che ha recentemente preso di mira i lavoratori del settore pubblico, ed è stata duramente contestata nei mesi passati”. Regeni racconta che in diverse regioni ci sono stati scioperi di lavoratori del settore tessile, cemento e costruzioni per rivendicare “l’estensione di diritti salariali e indennità riservate alle società pubbliche”. Benefici che i lavoratori egiziani hanno smesso di godere dopo le privatizzazioni dell’ultimo periodo dell’era Murabak, sottolinea l’articolo del Manifesto.
I GIUDIZI SU AL-SISI
Secondo Regeni, gli scioperi “contestano il cuore della trasformazione neoliberalista del Paese, che ha subito una profonda accelerazione dal 2004 in poi, e che le rivolte popolari esplose nel gennaio 2011 con lo slogan ‘Pane, Libertà, Giustizia sociale non sono riuscite sostanzialmente a intaccare”. L’altro aspetto, invece, riguarda “il contesto autoritario e repressione dell’Egitto dell’ex generale al-Sisi (…) Il semplice fatto che vi siano iniziative popolari e spontanee che rompono il muro della paura rappresenta di per sé una spinta importante per il cambiamento”.