Un dottorato in corso alla Cambridge University. Una laurea conseguita a Oxford. Un periodo di studi in New Mexico al Collegio del Mondo Unito, quando aveva solo 17 anni. Due premi vinti al concorso internazionale dell’Istituto regionale studi europei sul Medio Oriente di cui uno, nel 2012, sul tema dell’impatto che le rivolte arabe hanno avuto sulla popolazione tunisina ed egiziana. Aveva solo 28 anni, Giulio Regeni – il dottorando trovato morto alla periferia del Cairo, il corpo martoriato, con segni che fanno pensare a torture subite – ma poteva già vantare un curriculum rilevante.
I TEMI AFFRONTATI PER “IL MANIFESTO”
Tra le tante attività che puntellavano la vita di Regeni c’era anche una collaborazione con Il Manifesto, per cui aveva scritto più volte raccontando del regime e dell’opposizione ad Al-Sisi, della disoccupazione e degli effetti della crisi sulla società egiziana. Articoli che trattavano soprattutto di movimenti operai e di sindacalismo indipendente. «Temi a noi cari» spiega ai microfoni di Radio Popolare Giuseppe Acconcia, collaboratore del quotidiano, che conosceva bene Giulio.
I CONTATTI CON L’OPPOSIZIONE EGIZIANA E I TIMORI PER LA SUA INCOLUMITÀ
Occupandosi di queste tematiche, Regeni «aveva contatti con l’opposizione egiziana». Motivo per cui forse, spiega il giornalista, «mesi fa aveva chiesto più volte, per la pubblicazione dei suoi articoli, di non essere citato o di poter usare uno pseudonimo». Una scelta dettata «da motivi di incolumità e sicurezza, probabilmente anche per proteggere le sue fonti». Con la redazione – a cui aveva espresso i suoi timori anche in alcune email – si erano sentiti pochi giorni prima del 25 gennaio in cui è sparito. «Data evocativa – continua Acconcia – , perché coincideva con il quinto anniversario delle proteste di piazza Tahrir».
L’ULTIMO ARTICOLO, SCRITTO QUALCHE GIORNO PRIMA DELLA MORTE
In quell’occasione aveva inviato un articolo sui movimenti operai egiziani che, per questioni di spazio, non era ancora stato pubblicato. Il Manifesto lo ha pubblicato oggi, in apertura di giornale, come aveva preannunciato ieri sera il tweet di Simone Pieranni, che al desk del quotidiano si occupa di Esteri.
«In Egitto, la seconda vita dei sindacati indipendenti», questo il titolo attribuito dal quotidiano all’ultimo articolo di Regeni sormontato da una foto in ricordo del 28enne, testimone di un Paese che negli ultimi cinque anni ha subito una forte regressione socio-economica.
LA COLLABORAZIONE
Proprio Pieranni, in un’intervista a Radio Popolare, racconta di non aver mai avuto contatti di persona con Giulio, ma solo per email. In particolare in occasione dell’invio dell’ultimo articolo, scritto a quattro mani con «un’altra persona che al momento stiamo cercando di tutelare», spiega. Si trattava di «un pezzo di analisi sui sindacati egiziani», ribadisce il giornalista.
L’articolo pubblicato oggi dal quotidiano comunista è «il terzo scritto da Giulio, i primi due erano firmati con pseudonimo», spiega ancora Pieranni. «Può essere che sull’Egitto abbia pubblicato altri articoli sempre con pseudonimo, ma al momento non abbiamo effettuato verifiche sull’identità degli autori». La richiesta di usare un nome fittizio «veniva dall’esigenza di sentirsi più tranquillo – continua il redattore –, essendo in Egitto e trattando argomenti che potevano costituire un problema per la propria incolumità». Detto ciò, il giornalista spiega che tale richiesta «non è mai stata accompagnata da spiegazioni esplicite probabilmente perché – continua – le ragioni di tale scelta erano già state motivate da altre persone».
LA RICERCA DI CONTATTI DI ATTIVISTI DEL DIRITTO DEL LAVORO
Un amico egiziano di Giulio – che ha preferito restare anonimo – ha raccontato al quotidiano filogovernativo Al-Ahram che la ricerca che il giovane stava svolgendo sull’economia egiziana prevedeva anche interviste ad attivisti per i diritti dei lavoratori. Questo racconta di aver ricevuto «alcune mail e chiamate» dal ricercatore friulano «che gli chiedeva contatti di attivisti del diritto del lavoro affinché potesse intervistarli». L’amico lo aveva messo in guardia sui rischi e Regeni gli aveva promesso di non fare «lavoro sul campo» prima del 25 gennaio. Giorno della sua scomparsa e del quinto anniversario della rivoluzione anti-Mubarak.
INDAGINI POCO CHIARE E TESTIMONIANZE CHIAVE
Le indagini egiziane sulla morte del giovane ricercatore presentano, al momento, molti punti oscuri. In questo quadro poco chiaro, la testimonianza di una giornalista egiziana che avrebbe visto uno straniero arrestato alla fermata della metropolitana di Giza, al Cairo, sarebbe molto importante, secondo il giornalista Giuseppe Acconcia. Quello è un luogo dove nel 2013 – proprio nell’anniversario della rivoluzione – c’erano state manifestazioni degli islamisti contro il regime egiziano. «Può essere che Giulio fosse andato lì proprio per vedere se ci fossero ancora manifestazioni», spiega il giornalista.