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C’è da fidarsi dell’ultima proposta di Weidmann?

Un ministro delle Finanze unico, una cessione di sovranità sulla politica fiscale. La proposta arriva dal capo della Bundesbank, Jens Weidmann, e dal numero uno della Banca centrale francese, François Villeroy de Galhau, ma ne ha già parlato anche Mario Draghi il quale, va ricordato, aveva proposto il Fiscal compact prima che Angela Merkel capisse di che cosa si trattava l’unione bancaria di gran carriera (e qui la Merkel ha capito bene e subito, infatti ha tenuto fuori la metà del sistema bancario tedesco). Dunque, un passo avanti verso una unione più completa come risposta al rischio di disintegrazione europea. Un pilastro in più per dare sostegno alla moneta senza Stato, creando almeno un pezzo di Stato. Infine, la radice vera del nocciolo duro per la futura Europa a cerchi concentrici. Di questo si tratta e se ne è fatto alfiere anche Eugenio Scalfari.

Se è così, l’Italia, che sta mettendo in scena suoni e luci per rimanere nel nucleo dei fondatori e non perdere l’aggancio con l’asse Berlino-Parigi, dovrebbe applaudire. E tutti gli europeisti d’antan dovrebbero essere pronti a mettere le vele al vento del Reno. Invece non è così. Al contrario. Non solo nell’entourage renziano, ma proprio nei pensatoi che più hanno dato (idee, uomini, fatica) alla costruzione europea e alla nascita della moneta unica, si sente un’aria di insoddisfazione, di scetticismo, di sfiducia.

Un ministro delle Finanze unico? Nominato, eletto o cooptato? Si daranno il cambio francesi e tedeschi (magari mandando avanti gli olandesi) come accadde con la scandalosa spartizione che segnò l’esordio della Banca centrale europea? E quali poteri avrà? Potrà indurre/costringere Parigi a rientrare nei parametri di Maastricht (il disavanzo francese è stato sempre superiore al 3%, per una ragione o per l’altra)? Sarà in grado di far approvare dal Bundestag una riduzione delle tasse, un aumento dei salari, quindi una espansione della domanda interna per ridurre un surplus con l’estero superiore ai limiti convenzionali stabiliti dalla Ue (cioè 6% del pil)? E potrà avviare una procedura d’infrazione contro i Paesi, come la Francia e la Germania, che non rispettano la regola della liberalizzazione del mercato interno dei servizi e della concorrenza? Tutte questioni già sollevate da Mario Monti anche se la sua voce ha parlato nel deserto. Oppure il ministro sarà una specie di sceriffo che tiene le corda al collo dei famigerati Pigs? Weidmann e Villeroy non ne fanno menzione. Invece, proprio questo è il punto chiave: senza reciprocità non ci può essere unione.

Ma aggiungiamo anche qualche altra considerazione basata sui fatti, non sui pregiudizi, che riguardano il nostro Paese. Nel 2011 l’Italia è stata spinta a una manovra di aggiustamento durissima, costata due punti e mezzo di prodotto lordo in un solo anno. Era necessaria, d’accordo. Ma forse Frau Merkel e Herr Schaeuble ci hanno dato una mano per favorire una ripresa “sostenibile e ordinata” e non dare spago all’onda populista e anti-europea? Chiaro che no. Monti ha pagato a caro prezzo la stretta. A Enrico Letta (uno che più europeista non si può) non hanno fatto toccare palla né a Bruxelles né a Berlino. La Cancelliera e i suoi seguaci hanno mostrato una cecità politica ai limiti dell’incredibile (se non fosse che la storia ha dimostrato dove porta l’ottusa ostinazione della classe dirigente germanica). Sulla Francia meglio tacere, perché ha coperto di retorica una politichetta che serve a farsi i fatti propri. Persino di fronte a una tragedia come gli attentati del 13 novembre l’élite francese ha risposto con vuote parole: partiamo partiamo e poi nessuno è andato da nessuna parte.

Ormai anche là dove la Ue attuale è stata in parte concepita e costruita, cioè nelle tecnostrutture diplomatiche e istituzionali, viene riconosciuto che fu uno sbaglio varare l’euro mettendo insieme Paesi con debiti pubblici tanto difformi per struttura e quantità; non solo, è stato un errore cominciare dalla moneta senza Stato illudendosi che subito dopo, come per partenogenesi, sarebbe nato lo Stato. Ebbene adesso c’è chi ripropone di andare ancora avanti a spizzichi e bocconi, tra birra, salsicce e camembert. No, calma e gesso. Non sono gli euroscettici o gli anti-europeisti alla Grillo e Salvini a dirlo; al contrario, sono i federalisti europei più incalliti, convinti che se bisogna compiere il grande balzo, allora va deciso per bene, procedendo a una vera unione politica (reciproca, equa e solidale) con chi ci sta. Perché se la moneta non ha creato lo Stato, non sarà un ministro delle Finanze a surrogare la volontà popolare. No taxation without representation. Prima il processo politico, poi le tasse, l’euro e tutto il resto. Una fuga in avanti? Forse. Ma a fuggire davvero di fronte alla realtà è chi oggi ripropone la strategia del passo per passo che ci ha portato in un vicolo cieco.

Stefano Cingolani

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