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Intesa Sanpaolo, Unicredit, Monte Paschi. Ecco chi teme di più la trovata tedesca sui titoli di Stato

Una proposta della Commissione europea – con il pressante auspicio della Germania – per ridurre la quota di debito sovrano domestico nelle banche europee fa temere il peggio per gli istituti dei Paesi periferici. Quella che sembrava una boutade tedesca rischia di trasformarsi nella più temibile delle regole per la periferia, che negli ultimi anni si è nutrita dei rendimenti dei titoli di Stato locali e i cui acquisti da parte delle banche hanno sostenuto le finanze nel periodo più cupo della crisi. Per questo nei giorni scorsi operatori e analisti hanno notato che i maggiori istituti di credito italiani stanno vendendo una parte dei titoli di Stato in portafoglio.

QUANTO PESANO I GOVERNATIVI NELLE BANCHE
Secondo i dati forniti dall’Abi, nelle banche europee i titoli sovrani pesano per l’8,5% sul totale degli attivi: in Italia questa percentuale si porta al 14,6%. La divergenza è più forte tra Sud e Nord Europa di quanto non lo sia tra categorie di banche, ovvero contrapponendo le banche commerciali alle banche di investimento. Le prime hanno una percentuale di titoli di Stato sul totale degli attivi del 9,2%, le seconde del 7,1%. ma le banche commerciali del Sud dell’Europa vedono la loro fetta al 12,9%, contro il 7,8% di quelle del centro-Nord. Una battaglia che rischia di essere, come sempre in Europa, tra core e periferia e che, non a caso, vede contrapposti i due fronti anche a Bruxelles sulle proposte di svalutare o di porre una soglia ai Btp.

UN MARE DI DEBITO SOVRANO
Ovvero ridurre il valore o l’ammontare dei circa 400 miliardi di Btp in pancia alle banche che all’improvviso non sarebbero più considerati risk-free. “Una proposta al limite del grottesco – dice a Formiche.net una fonte istituzionale – dal momento che si tratterebbe di imprimere una forza che agisce in controtendenza rispetto alla Bce, che con il qe inonda il mercato di titoli di Stati da vendere alle banche per risollevarne il patrimonio”. E non a caso le banche italiane nel 2000 avevano un’esposizione ai Btp di circa 150 miliardi e nell’ordine dei 100 miliardi nel 2009, prima che scoppiasse la crisi del debito. Solo dopo il 2011 e dopo le due aste Ltro l’esposizione è aumentata vertiginosamente per portarsi a 400 miliardi. Le banca in assoluto più coinvolta è Intesa, il cui ammontare di Btp è passato da 92,8 miliardi di dicembre 2014 a 93,5 miliardi di giugno 2015, segue Unicredit a quota 60,8 miliardi, dai 59,3 di giugno.

I CONTRO DELLA SOLUZIONE TEDESCA
La proposta tedesca in Italia proprio non piace. Avrebbe l’effetto di causare “fortissime instabilità per le banche italiane”, secondo quanto ha dichiarato all’Huffington Post Marcello Messori, direttore della Luiss School of European Political Economy. L’economista Messori non ha lesinato critiche: secondo il professore doversi disfare di quote di titoli di Stato in maniera improvvisa e per imposizione di una soglia rischia di tramutarsi in una perdita in quanto le banche dovrebbero accontentarsi di un prezzo non vantaggioso. “La visione tedesca è chiara – spiega Messori – prima di fare una garanzia unica sui depositi vuole che le banche prezzino il rischio dei titoli del debito pubblico che hanno in bilancio oppure riducano la quota di questi titoli. Non credo, tuttavia, che un’impostazione di questo genere sia compatibile con un coordinamento cooperativo nel senso che prezzare il rischio di insolvenza dei titoli del debito pubblico di uno Stato membro significa affermare che le istituzioni di coordinamento europeo non saranno adeguate per intervenire in emergenza”.



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