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Cosa farà (e cosa non farà) l’Italia in Libia contro Isis

Di Michele Arnese e Emanuele Rossi

Ci sarà mai, davvero, un governo in Libia che chiederà un intervento militare concertato in funzione anti Isis? E se i maggiori Stati chiederanno un’azione diretta in Libia senza attendere altro tempo e la stabilità dell’esecutivo libico, che cosa farà l’Italia? E ancora: quello che ora fa il nostro Paese giustifica la rivendicazione italiana di una sorta di leadership politica delle operazioni in Libia? Sono alcune delle domande che circolano in queste ore nei palazzi della politica, non solo in Italia.

CHE COSA HA SCRITTO IL WALL STREET JOURNAL

Il mese scorso, secondo quanto riporta il Wall Street Journal, il governo italiano ha dato il via libera agli Stati Uniti per il dispiegamento di UAV (velivoli senza piloti) armati alla Naval Air Station di Sigonella, in Sicilia. Serviranno per avere una risposta operativa immediata e più efficiente in Libia, ma guarderanno a tutta l’area del Nord Africa (le zone più a sud le continuerà a gestire la grande base di Gibuti e qualche altro spot regionale, come prevede un piano del Pentagono reso noto mesi fa).

LA SVOLTA E LA TRATTATIVA

Il quotidiano americano parla di una “svolta” raggiunta a gennaio in una trattativa “segreta” in corso da oltre un anno: l’Italia era restia a concedere il permesso (finora dalla Sicilia sono partiti soltanto missioni di osservazione, che comunque continueranno) perché lo considera un rischio per la sicurezza nazionale, ossia teme le ritorsioni interne della decisione con attacchi verso il nostro territorio o verso nostre strutture in Libia (Eni su tutte, ma non solo, perché ci sono molte altre imprese italiane che lavorano nell’area).

LE CONDIZIONI

Nella decisione di Roma, mirato a non far emergere polemiche interne, si fondano le due condizioni più importanti poste agli americani: niente missioni dirette, solo appoggio ad eventuali blitz e/o forze speciali in difficoltà, e autorizzazioni per i raid da richiedere e concordare volta per volta. Dunque il governo italiano non permetterà che da Sigonella partano azioni di attacco come quella di venerdì scorso su Sabratha e vuole essere costantemente aggiornato di quello che gli americani hanno in programma: in più, terza condizione, Roma chiede che queste regole siano estese a qualsiasi missione “anti-IS”.

LE PAROLE DEL MINISTRO PINOTTI

Al quotidiano il Messaggero, il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, ha detto: “La base di Sigonella è utilizzata dagli Stati Uniti secondo un trattato che risale al 1951. Ogni volta che si configurano assetti nuovi, parte una richiesta. Nulla di strano. C’è stato bisogno di una serie di interlocuzioni, perché l’Italia dev’essere coinvolta con un ruolo di leadership e di coordinamento in una strategia di sicurezza complessiva rispetto alla Libia”.

IL COMMENTO

In effetti la linea del governo, dettata in particolare da Matteo Renzi e dal titolare della Farnesina, Paolo Gentiloni, dice che i droni saranno usati solo caso per caso e in supporto agli americani. Eppure l’Italia continua a rivendicare la leadership politica, come ha ricordato il generale Mario Arpino su Formiche.net: ma se non saremo operativi come, se non più di altri Paesi, la richiesta italiana sarà esaudita? E’ quello che si chiedono diversi osservatori in queste ore. E l’Italia, come ha scritto il giornalista Stefano Vespa su Formiche.net, sa cosa farà o dovrà fare davvero in Libia? L’esecutivo italiano punta tutto sulla formazione, controversa e contrastata, del governo libico. Ma più addetti ai lavori sono ormai scettici sulla stabilità del governo libico in fieri. Per questo non è da escludere una prossima risoluzione del consiglio di sicurezza Onu (chiesta magari da Francia e Inghilterra) per un intervento militare in Libia. Cosa farà l’Italia? Per questo sembra cruciale – si dice in Parlamento – la riunione del Consiglio supremo di Difesa prevista per il prossimo 25 febbraio, come annunciato dal Quirinale.

IL RAID DI DOMENICA

Domenica sera un velivolo non identificato ha colpito ancora nell’area di Sabratha. Secondo alcune fonti locali del Levantine Group, società di intelligence privata con contatti in tutti i fronti caldi, sarebbe stata colpita un’imbarcazione che trasportava armi e forse uomini diretti a rinforzare le linee del Califfato, che dalle ultime stime riportate in questi giorni avrebbero superato le 6 mila unità, rinvigoriti anche dall’arrivo di diversi comandanti militari già operativi in Siria e Iraq. I dati dicono che la Libia è in controtendenza: i baghdadisti crescono, mentre nel cuore siro-iracheno diminuiscono, e su questo si basa il grosso delle preoccupazioni.

IL RUOLO DI SIGONELLA

Il raid di domenica potrebbe configurarsi alla perfezione con le attività che l’America può fare da Sigonella, se non fosse per le condizioni poste dal governo italiano. L’attacco potrebbe dunque essere stato portato da un UAV (un Reaper per esempio) tra quelli dispiegati nella regione dell’Africa centrale, oppure da aeri non americani. I francesi per esempio sono molto attivi, hanno presumibilmente concesso logistica per bombardamenti egiziani su Sirte, e nelle stesse ore alcuni caccia Rafale dell’Armée de l’air avrebbero sorvolato e colpito aree più ad est. Sono tutte informazioni che non trovano per il momento conferma, visto che l’unica di queste attività ufficializzata è stato il raid americano contro il training camp di Sabratha. La scorsa settimana Alwasat, sito che si occupa di Libia, aveva scritto che fonti locali segnalavano l’arrivo di gommoni imbottiti di armi scaricati notte tempo da uomini dello Stato islamico in una banchina sul porto di Sirte e poi caricati nuovamente su due container. È possibile che domenica un’operazione analoga sia stata bloccata.

MISSIONI DALL’ITALIA

Gli osservatori indicano anche diversi viaggi di aerei particolari sulla rotta Libia-Sicilia. Si tratta di piccoli aerei da trasporto come il King Air con codice di coda “N351DY” decollato i giorni successivi al raid di Sabratha dalla Libia per ritornare all’aeroporto di Pantelleria. L’aereo è la versione civile del MC-12W utilizzato dagli americani per coprire quelle missioni che vengono definite ISR, ossia intelligence, sorveglianza e ricognizione. Nella versione civile, che un utente ha tracciato sul sito Flightradar24, viene utilizzato sovente per il trasporto di forze speciali. È probabile che team specializzati abbiano volato dall’Italia alla Libia per illuminare con i laser il bersaglio del raid di venerdì (e anche quello di domenica), per poi rientrare subito in qualche base italiana: l’illuminazioni di bersagli è una delle attività che le Sof compiono più spesso nei teatri operativi in cui la guerra viene fatta dal cielo colpendo assembramenti importanti o leader di alto livello con azioni specifiche e puntuali (questa è la strategia che la Casa Bianca per vuole anche per la Libia). Attività analoghe da parte dello stesso velivolo con base di arrivo e partenza sempre in Sicilia erano già state più volte segnalate: l’Italia fa da appoggio, non fosse altro per ragioni geografiche.

L’ADDESTRAMENTO NATO A VARESE

Inoltre, ufficiali italiani sarebbero in addestramento nella base di Solbiate Olona (Varese) per essere pronti ad un intervento militare in Libia, qualora fosse richiesto. La notizia la dà il Foglio: Daniele Raineri che firma l’articolo spiega che si tratta di “un’esercitazione di rifinitura”, un test per gli ufficiali che dovranno poi coordinarsi con gli omologhi di altri paesi Nato; nella strategia di Barack Obama c’è anche delegare il grosso delle operazioni agli europei, inglesi, francesi e italiani, mentre invece Pentagono e Dipartimento di Stato pressano perché Washington occupi un ruolo più impegnato. I militari di Solbiate Olona fanno parte del “comando Nato della Forza di reazione rapida (Rapid Deployable Corps), vale a dire quel contingente di forze miste che la Nato può proiettare all’estero in caso di necessità”, aggiunge Raineri.

Martedì 2 febbraio il generale di corpo d’armata Riccardo Marchiò, che comanda al base Nato a Varese, ha incontrato in visita ufficiale l’omologo David Rodriguez, che guida Africom, il comando americano che ha sede a Stoccarda e che gestisce tutte le attività militari statunitensi in Africa, dunque anche in Libia (era la prima volta di un contingente Nato ad Africom). Nel comunicato ufficiale si parla di “tavole rotonde a livello operativo e di pianificazione” con un occhio particolare al Nord Africa. Da sommare alla notizia data dal Foglio.

LA LINEA POLITICA

Alcuni esperti hanno subito trovato l’incoerenza nella posizione italiana, visto che la linea di far decollare gli UAV americani armati soltanto in aiuto a Special Operations Forces in difficoltà, che il WSJ indica tra le stringenti condizioni di utilizzo di Sigonella, appare debole: questo perché normalmente le Sof sono utilizzate in operazioni offensive, aspetto che vale sia per usi come il targeted killing contro leader jihadisti ma anche nei casi di liberazione ostaggi, e resta dunque difficile distinguere tra usi per azioni di attacco, che Roma non vorrebbe sostenere, o difensive, invece concessi.

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