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Unicredit, Intesa Sanpaolo, Monte dei Paschi di Siena. Tutti i pericoli per la norma sui titoli di Stato

Estratto dell’ultimo report dell’ufficio studi di Confindustria

La proposta di limitare gli acquisti di titoli di Stato domestici da parte delle banche dell’Eurozona ha gravi controindicazioni e, se accolta, avrebbe effetti dirompenti sulla tenuta dell’Unione europea.

L’obiettivo dichiarato è di ridurre l’esposizione degli istituti al rischio sovrano del proprio paese, con l’intento di spezzare il circolo vizioso tra sistema bancario e debito pubblico. Inoltre, si vorrebbe indurre le banche a destinare più risorse all’erogazione di credito a famiglie e imprese. Il risultato sarebbe diametralmente opposto: maggiori costi per i contribuenti e minor credito all’economia.

La misura proposta, infatti, si rivelerebbe inutile e dannosa. Inutile perché, anche quando l’Unione Bancaria europea sarà completata, i sistemi bancari rimarranno nazionali dato che il costo della raccolta sarà ancora legato ai rendimenti dei titoli di Stato di ciascun paese. Sarebbe così anche se le banche detenessero un quantitativo inferiore di tali titoli. In Italia e in altri paesi europei, infatti, esiste una relazione molto stretta tra l’andamento dei rendimenti dei titoli sovrani e quello dei rendimenti delle obbligazioni bancarie.

Per le banche italiane, il costo della raccolta tramite bond è salito ai massimi a inizio 2012, subito dopo che a fine 2011 il BTP a 10 anni, il titolo guida, aveva raggiunto il picco. In seguito, il tasso sui bond bancari si è gradualmente ridotto, sulla scia della flessione dei rendimenti sovrani partita dal 2012. Prima della crisi lo stato di salute delle banche italiane era nettamente migliore di quello che si aveva in altri paesi dell’Eurozona. Ma poi, con la crisi dei debiti sovrani, le politiche adottate in Europa e la lunga recessione che ne è seguita, la situazione dei bilanci bancari in Italia è peggiorata. È cresciuto il costo della raccolta bancaria e sono aumentate le sofferenze.

Nel momento peggiore della crisi, le banche italiane hanno realizzato acquisti massicci di titoli sovrani nazionali: il loro portafoglio di tali bond è salito da 205 miliardi a fine 2011 a 402 miliardi nel giugno 2013, mantenendosi poi su quei valori (390 miliardi a dicembre 2015). Ciò ha contenuto l’aumento dei rendimenti sovrani, che erano già più alti dei valori giustificati dal rischio paese. Inoltre, ha consentito alle banche di migliorare il proprio bilancio, sostenendo la loro redditività. Se nel 2011-2012 gli istituti avessero dovuto limitare i loro acquisti, in Italia avremmo avuto un sistema bancario con bilanci peggiori e un credit crunch maggiore, e quindi minor credito all’economia. E avremmo avuto anche più elevati rendimenti sui titoli di Stato, con impatti negativi sui conti pubblici e sull’andamento del PIL.

Se oggi venisse ridotto l’acquisto di titoli sovrani da parte delle banche, facendo venire meno una importante fonte di domanda per tali bond, nei paesi dell’Eurozona con debiti pubblici maggiori i rendimenti dei titoli di Stato risulterebbero strutturalmente più elevati che altrove. Riflettendosi sul costo dei prestiti in tali paesi, ciò limiterebbe l’accesso al credito, comprimendo la crescita. In un circolo vizioso che minerebbe proprio la sostenibilità dei debiti pubblici. Esattamente l’opposto di quel che si vorrebbe ottenere con il limite ai titoli di Stato nei bilanci bancari, cioè di far fluire più fondi delle banche a imprese e famiglie, per sostenere la crescita.

L’introduzione di un limite agli acquisti bancari di titoli di Stato, dunque, farebbe aumentare la divergenza tra le economie periferiche da un lato, che sarebbero ancor più penalizzate, e quelle core dall’altro. Con il risultato di ampliare le divergenze in Europa e quindi accrescere le forze centrifughe che stanno minacciando la tenuta dell’UE. Solo quando ci sarà una Unione di bilancio (o Fiscal Union), con l’emissione di titoli federali che possano fungere da benchmark per tutti gli emittenti, allora i sistemi finanziari non saranno più nazionali e ciascun emittente, comprese le banche, sarà valutato per il proprio merito di credito, e non per l’appartenenza a uno Stato con un debito pubblico più o meno alto.

Solo allora, dunque, si potrà imporre un vincolo alla detenzione di titoli pubblici nei bilanci bancari senza avere gli effetti negativi spiegati sopra. Per i proponenti, l’eliminazione della ponderazione nulla dei titoli pubblici e/o un tetto ai titoli sovrani nei bilanci bancari sono una tappa verso la Fiscal Union, ma questo traguardo rischia di non essere mai raggiunto se quell’eliminazione e quel tetto venissero attuati perché accentuerebbero la distanza tra i paesi che dovrebbero dar vita alla Fiscal Union stessa. Un fallimento dovuto all’incoerenza temporale tra le varie fasi della costruzione.

Leggi il report “Le nuove regole sulle banche aumentano i rischi per l’economia e frenano la crescita in Italia”

 


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