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L’Artico, l’Europa e l’Italia. Parla Frattini

Tra le questioni internazionali di maggiore interesse l’Artico ricopre sicuramente una posizione molto importante. Clima, equilibri geopolitici, commercio, pesca, risorse minerarie, tutela delle tradizioni locali: sono solo alcune delle complesse tematiche che l’uomo è chiamato ad affrontare e gestire in relazione all’area. L’Italia si trova in una posizione privilegiata per seguire da vicino e influire su questi sviluppi politici ed economici. E’ in questo scenario che si inserisce l’attività della Sioi (Società italiana per l’organizzazione internazionale), che dalla prossima settimana darà il via al primo master in Sviluppo sostenibile, geopolitica dell’energia e studi artici. Primo nel suo genere, il percorso di studi ha l’obiettivo di formare figure professionali dotate delle conoscenze e sensibilità necessarie allo svolgimento di attività nell’Artico. Numerose aziende italiane – Eni e Finmeccanica per citarne alcune – istituzioni ed enti di ricerca sono impegnati nell’area. In una conversazione con Formiche.net il presidente della Sioi, Franco Frattini ha raccontato il perché di questa iniziativa e l’importanza dell’Artico per lo sviluppo sostenibile.

Presidente, la Sioi organizza vari percorsi di studio, dall’intelligence allo spazio, passando per la programmazione europea. Perché ora ha deciso di dedicarsi all’Artico?

L’idea del master nasce da una mia esperienza che, come ministro degli Esteri, mi ha molto arricchito. Ho lavorato per almeno due anni affinchè l’Italia diventasse membro osservatore permanente del Consiglio artico. Essendo stato molte volte nelle regioni artiche ho pensato che l’Italia non potesse sottrarsi a un impegno che quest’anno compie 90 anni e che risale alla missione Norge di Umberto Nobile. Questo ragionameto che ho condotto nel 2009-2010, nel 2012 ha portato al riconoscimento all’Italia del ruolo di osservatore permanente. Ciò ha consentito al Paese di rilanciare, insieme al Cnr, la sua presenza nella base polare artica e antartica e le ha permesso di sedersi a un tavolo attorno al quale si giocano interessi geo-strategici di assoluta priorità di cui solo pochi si occupano.

Perché è così importante il Consiglio Artico e la presenza dell’Italia?

Si tratta di un tavolo quasi unico, in cui siedono Stati Uniti, Russia e Cina oltre a Canada e i Paesi scandinavi. È lì che si toccano questioni di commercio internazionale, visto che si parla di vie di trasporto che, passando attraverso l’Artico, evitano una lunga circumnavigazione con evidenti risparmi di tempo e denaro. Date le tante risorse dell’area, si giocano anche importanti questioni energetiche (l’Islanda, come noto, nasconde una miniera sotto i suoi ghiacci) a cui si aggiungono altre due sfide che secondo la mia opinione vengono prima di quella dei trasporti e dei commerci.

Di cosa parla?

La sfida numero uno è sicuramente quella ambientale. Ho letto di recente la notizia della statunitense National oceanic and atmospheric administration che, subito dopo la Nasa, conferma che gennaio 2016 è stato il mese più caldo dal 1880, da quando cioè ci sono le rilevazioni scientifiche, e che mai come quest’anno il ghiaccio ha avuto un’estensione così ridotta. Il tema della protezione dell’Artico riguarda la protezione del globo intero. Ciò vuol dire che tutte le ambizioni di sviluppo, di traffici e di commercio devono essere compatibili rispetto all’obiettivo principale di protezione.

E la seconda sfida qual è?

In qualità di ministro degli Esteri incontrai i rappresentanti dei popoli dell’Artico che sono venuti a trovarci qui a Roma e che probabilmente accetteranno di parlare come relatori al master. Si tratta di rappresentanti del popolo sami che, insieme ad altre popolazioni come gli inuit dell’Alaska e della Groenlandia, ci hanno parlato di un feomeno a cui nessuno fa riferimento: la possibilità di migrazioni generate dallo scioglimento del permafrost. Dove andranno quei milioni di persone che oggi vivono dove c’è il ghiaccio permanente se un giorno dovesse esserci acqua? Il fenomeno dei profughi artici può essere altrettanto drammatico rispetto a un fenomeno che già conosciamo in Europa.

In questo contesto come si inserisce il master della Sioi?

Quando alle conclusioni di Parigi 2015 è stato riferito che il tema delle regioni artiche è la priorità numero, insieme ai miei collaboratori in Sioi abbiamo riflettuto che un master sugli studi artici e sulla sostenibilità dello sviluppo fosse quanto mai importate. L’obiettivo è formare dei professionisti che inseriti in aziende anche italiane – Eni o Saipem per fare qualche esempio – abbiano in mente che non si va lì per colonizzare, ma per difendere.

Considerata la centralità del clima, cosa pensa delle conclusioni della Cop21 di Parigi?

La Cop 21 ha fatto moltissime dichiarazioni di principio ma vedo, dopo qualche mese, che gli atti attuativi ancora non ci sono. Vedo che le politiche americane si stanno orientando verso una forte riduzione delle emissioni e che la Cina prende coscenza che ogni giorno di inquinamento con smog costa miliardi di dollari. Il problema vero sono altri attori: l’India, gli altri grandi Paesi asiatici e poi l’Africa, grande continente in cui a causa della povertà e del neocolonialismo che la affligge, diventa territorio di depredazione delle risorse. Si tratta di un contiennte in cui gli investimenti in protezione ambientale dovrebbero essere aumentati in modo sostanzioso.

E l’Europa che fa?

È una vecchia signora che cerca di fare i suoi compiti a casa. Ha fatto un programma molto ambizioso. Quando approvammo il 20-20-20 era poco ed era tardi. Bisognava guardare al 2050 e avere obiettivi più ambiziosi di riduzione. E’ una vecchia signora anche perchè non ha alcuna forza nel mondo per dire cosa si deve fare. Manca una leva affinché i grandi inquinatori facciano quello che devono fare.

È questa la situazione anche nel Consiglio Artico?

Se si pensa che membri europei del Consiglio Artico sono Svezia, Finlandia e Danimarca – Paesi europei la cui presenza è sicuramente importante – ci si rende conto che il loro peso è poco in confronto a Stati Uniti, Cina e Russia quando queste ultime decidono che la priorità deve essere quella commerciale. Per questo è importante coinvolgere Paesi come l’Italia che non sono artici ma hanno una storia culturale di tutto rispetto, come dimostrato dalla missione di Nobile del 1926.

Uno dei focus del master è legato alle regioni più vulnerabili, un po’ sulla scia dell’Enciclica di Papa Francesco.

Quell’enciclica ce l’ho sulla mia scrivania perché ogni tanto ne leggo un capitolo. Credo che sia il più importante documento di geo-strategia sulla protezione del pianeta. È chiaro che il papa abbia adottato il testo come messaggio spirituale, ma è un messaggio che ha una valenza di visione per la difesa del mondo che non ho trovato in nessun’altro documento. All’inaugurazione del master dirò con grande chiarezza che ciasciun frequentatore dovrà avere la Laudato Sì. Perché si tratta di un testo che spiega come difendere le regioni più vulnerabili, il creato e, in ultima analisi, la persona umana.

Per quanto riguarda la militarizzazione dell’Artico e il ruolo della Russia, come pensa si possano affrontare queste sfide?

Con lo spirito di cooperazione. La regione è talmente sensibile e vulnerabile che l’idea di un incidente – e non voglio immaginare all’incidente di un sommergibile nucleare per intenderci -, che veda l’affodamento di una petroliera o di una nave che porta materiali sensibili, determinato magari da un guasto o da uno scontro con un iceberg, chiarisce come anche il tema militare e della difesa debba essere governato, tenendo conto che si opera in una cristalleria. Qui, più che in qualsiasi altra regione del mondo, bisogna evitare che si crei qualsiasi tipo di antagonismo che potrebbe sfociare in attività esiziali. Ma la Russia non è irresponsabile. Credo che al di là dei giochi propagandistici è solo follia pensare a una escalation violenta tra Russia e occidente e credo che questo il Paese lo sappia perfettamente. Dovrebbe saperlo perfettamente anche la Nato; c’è qualche voce stonata, ma credo che non ci siano in campo neanche riflessioni sulla probabilità di un’escalation violenta dell’occidente contro la Russia e viceversa.



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