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Utero in affitto, lettera aperta a tutte le donne

impresa, governo, femminicidio

In questi giorni di feroce discussione sul corpo delle donne sono colpita dal buio di un colpevole silenzio che inquieta. Sono e rimango stupita dal nulla dell’associazionismo femminile sulla vicenda della maternità surrogata, più volgarmente denominata “utero in affitto”. Con piacevole stupore la Boldrini ha affermato che è necessario riflettere, dopo la provocazione del “bambino vendoliano”, sbattuto in prima pagina nel corso della discussione sulla legge sui diritti civili, e quella di un altro senatore che ha ammesso di aver commissionato il suo.

Ho frugato tra le pagine dei giornali e su internet, augurandomi che del gruppo delle associazioni alle quali aderisco di Democrazia paritaria ce ne fosse almeno una, delle 52 donne che ne fanno parte, che avesse avuto la forza di esprimere un coraggioso dissenso su tutta la vicenda. Sono e rimango sola.

Alcune signore, singolarmente, affermano che non ce ne dobbiamo occupare. E allora, che cosa ci appartiene? Solo chiedere rispetto e parità nei cda, nel nuovo Senato, nella legge elettorale? Addirittura chiediamo alla Presidenza del Consiglio e alla Presidenza della Repubblica di coinvolgerci nel celebrare ritualmente l’anniversario del voto alle donne? Per otto anni a livello nazionale, prima ancora nelle istituzioni, e oggi a livello accademico, ho fatto sentire la voce delle donne, difendendo i nostri diritti ispirati da una straordinaria vis costituzionale. La vita pesa addosso alle donne perché il mondo si è fatto duro, ma sono incredula e stupita che l’asservimento alla politica impedisca di prendere posizione sull’aberrazione che si sta consumando! Per comodità? Per paura? Sentimenti di origine femminile e femminista, pervasi da idea-forza, perché non avete il coraggio di dispiegarli non viziati?

Occorre ricominciare a vivere le nostre esistenze, per dare coraggio alle nuove generazioni, senza discordia, ma recuperando la distanza e la sfasatura che viviamo in un periodo dove volgarmente e brutalmente assistiamo ad una sconfitta collettiva. Dobbiamo recuperare, e in fretta, valori, visioni e forma politica del popolo femminile che ricomincia a farsi persona.

Le donne italiane hanno solidissime e antiche radici, ma anche recenti e incompiuti percorsi di libertà e democrazia paritaria. Siamo il 52 per cento di una società grande, capaci di infinite forme di aiuto aggregazione dalle quali si possono ancora sprigionare contributi vitali al bene comune.

Questa vicenda dei maschi e delle femmine che decidono la creazione dell’uomo con metodi di selezione è aberrante, prima di tutto per le donne che vendono il loro ventre. Per tanto tempo ci siamo spesi, uomini e donne insieme, colmi di buona volontà, contro la mercificazione del corpo femminile. Ora l’assemblaggio di un figlio globale, il traffico di esseri umani nel grottesco mercato/traffico riproduttivo nella fiorente industria della fabbrica di bambini, tranne pochissime e rarissime voci che ho sentito, un assordante silenzio delle donne e delle associazioni del branco, si rompe solo ed esclusivamente per chiedere di spartirsi la torta delle risorse destinate (150 mila euro) al “compleanno istituzionale del voto alle donne”. È un imbarazzo e una vergogna insopportabile! È questo il Mondo Nuovo che contribuiamo a creare?

Io chiedo a voce alta alle donne, che con stile minuzioso, controllato, penetrante nella forza di un passato che è attesa di futuro in una ferma compostezza, come un’invocazione vibrante, di percorrere insieme valori apparentemente possibili di sentimenti veri e intensi che trascendano i limiti del politicamente corretto addomesticato. Costerà ancora fatica e sudore, affanno e sofferenza, ma sapremo rilanciare in questo momento della storia del nostro Paese la dignità dell’essere madri e donne, che diamo la vita, consapevoli del valore del nostro essere motore del mondo.

Il primato dell’essere il corpo essenziale della nazione coincide con il senso dello Stato, ovvero i valori della tradizione – la persona, la famiglia, la comunità – assunti compiutamente a riferimento delle politiche pubbliche. Questa laicità adulta, comune a tutte le donne credenti e non credenti, che sanno riconoscere e promuovere il valore della vita nella umana fragilità, nella procreazione, nella ricerca scientifica e nella tecnologica, rifiuta con vigore e fermezza, come donne libere e forti, la strumentalizzazione e la mercificazione in atto dei nostri valori.



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