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L’Europa, la Germania e i profughi. Parla Angela Merkel

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La sera del 28 febbraio, durante il talk show di Anne Will andato in onda sul canale pubblico ARD, Angela Merkel ha esposto in un lungo faccia a faccia la sua visione della Germania, dell’Europa e della soluzione della crisi dei profughi. La cancelliera tedesca è convinta di farcela. Che la Germania ce la farà e ce la farà anche l’Unione europea. È vero, nel Paese si nota anche una crescente polarizzazione e politicizzazione. Ma, fa notare la Merkel, fino a poco tempo fa ci si lamentava che non ci fosse più dibattito. Non vuole fissare un tetto massimo di profughi da far entrare in Germania. È convinta che l’accordo tra Ue e Turchia contribuirà a ridurre il flusso di profughi che arrivano in Europa. Non ha piani B e non vuol sentirne parlare. Ed è convinta che un politico abbia il “maledetto” dovere di risolvere le situazioni e non di descrivere il mondo come una catastrofe. Il mini congresso di Vienna che si è tenuto la settimana scorsa è stato “una decisione infelice”, ma quando si vedranno i primi risultati del piano turco-europeo, sottoscritto anche dall’Ungheria, anche i più riottosi rivedranno la loro posizione.

Ecco la strategia che Angela Merkel porterà al vertice straordinario dell’Ue sui profughi in programma il prossimo 7 marzo.

Anne Will: La Germania divisa al suo interno, isolata in Europa. Quando deciderà di cambiare rotta, signora Merkel? E questa è anche l’unica domanda che la Bundeskanzlerin conosceva prima dell’inizio della trasmissione. Buona sera signora Bundeskanzlerin.

Angela Merkel: Buona sera a lei.

Lei è già stata qui in trasmissione ai primi di novembre. Allora si era mostrata molto ottimista riguardo ai cambiamenti che la Germania e la società tedesca subiranno in seguito all’arrivo di così tanti profughi. La sua risposta fu: “Non penso che vi saranno cambiamenti radicali per quel che riguarda i principi costituzionali, l’economia sociale di mercato, la libertà religiosa, la libertà d’opinione. La Germania e la società tedesca non si discosteranno da tutto ciò che ci rende forti, buoni, amabili“. Cinque mesi dopo non pensa di aver sopravvalutato la forza e l’amabilità dei tedeschi?

No non credo, continuo a credere che quei tratti distintivi continueranno a caratterizzare il nostro Paese. Non v’è dubbio che ci sono dibattiti accesi, evidenti polarizzazioni, che c’erano però anche allora. Basti pensare a Heidenau (dove a fine agosto c’erano state violente contestazioni davanti a un centro di accoglienza profughi e attacchi verbali feroci contro la classe politica, soprattutto contro la Merkel e il suo vice, il numero uno dell’Spd Sigmar Gabriel, n.d.t.). Già nel mio discorso di inizio anno 2014/15, avevo messo in guardia dal correre dietro a coloro che hanno solo odio nei loro cuori. Quelle tendenze esistevano già, la polarizzazione è indubbiamente aumentata, nonostante ciò sono convinta che il tratto fondante della nostra società resterà immutato. E non è detto che la discussione sui profughi e sull’integrazione degli stessi non ci porti a riflettere ancor più approfonditamente su cosa distingue la nostra società e cosa è importante per noi.

Ma non vede la spaccatura che c’è nel frattempo?

Io vedo una polarizzazione, discussioni anche molto accese, una politicizzazione. Ricordiamo però, anche, che fino a poco tempo fa c’era chi lamentava l’assenza di dibattito. Ora invece si discute animatamente anche nelle famiglie, a volte da posizioni opposte. E a mio avviso ciò è importante, così come è importante ascoltare l’altro, non dobbiamo smettere di farlo. Anch’io devo tener conto di tutte le argomentazioni e chiedermi quali risposte dare. Sono però convinta che stiamo vivendo un momento importante, un momento che deciderà il posto della Germania in Europa, e tutto questo ha ovviamente anche a che vedere con la salvaguardia del nostro benessere e dei nostri interessi nazionali.

Ma ci sono anche interessi nazionalistici e azioni nazionalistiche. Veri e propri fenomeni di radicalizzazione, di cui non ha ancora parlato. Abbiamo assistito a fatti, come i recenti atti intimidatori contro profughi a Clausnitz (lì un gruppo di cittadini, scandendo lo slogan ‘Wir sind das Volk’, noi siamo il popolo, ha assediato un pullman carico di profughi, n.d.t.). Ecco, cosa ha pensato quando ha visto quelle immagini?

È stato un gesto ributtante, terribile. Ma, ripeto, in agosto c’erano già stati i fatti, non meno terribili, di Haidenau.

L’avevano insultata, dandole della traditrice del popolo.

Si, ma quello che mi preme dire è che atti del genere non sono in alcun modo giustificabili. Si può discutere, si può manifestare pacificamente contro una politica che le persone giudicano sbagliata, ma la dignità dell’essere umano è intangibile. Questo sancisce l’articolo 1 della nostra Costituzione, ed è un principio vincolante per tutti coloro che si trovano nel nostro Paese, indipendentemente dal fatto che siano tedeschi, profughi o ospiti.

Quando sente scandire questi slogan, e conoscendo bene qual è il sostrato che li ha generati, può ancora dire che questa è la sua Germania e questo è il suo popolo?

Si tratta di cittadine e cittadini della Germania che si comportano in un modo che personalmente rifiuto categoricamente, che trovo ributtante quando assume dei tratti criminali, e dunque va punito. Al tempo stesso non ci stanchiamo di cercare di coinvolgere tutti, per quanto, ovviamente, non possiamo certo impedire che qualcuno corra dietro a queste persone.

Ma lei parlerebbe con queste persone?

Se fossero disposte ad ascoltare certo, solo che alcuni di loro, questa è l’impressione, non vogliono nemmeno più ascoltare. Parlo naturalmente con coloro che sono preoccupati. Io faccio politica per tutte le persone qui in Germania e cerco di fare ciò che è importante per noi come Paese, anche se ovviamente la situazione è difficile e non sempre tutto si risolve dall’oggi al domani.

Lei ha già fatto riferimento due volte a Heidenau, e quei fatti sono accaduti prima della sua famosa frase “Ce la possiamo fare”. Ma andiamo oltre, vediamo tutto ciò che è accaduto nel frattempo: gli attacchi ai centri di accoglienza si sono moltiplicati, rispetto al 2014 sono quintuplicati; poi c’è il fiume di messaggi d’odio veicolati attraverso i social media; ci sono attacchi ai politici; rappresentanti del governo vengono insultati e accusati di tradire il popolo; e lo stesso vale per la stampa. Insomma, si sta manifestando un livello di disprezzo per la democrazia che non si era mai visto prima. Ecco, alla luce di tutto questo, non pensa che la sua frase, “Ce la possiamo fare”, sia stata troppo ottimista e non abbia tenuto conto delle possibili conseguenze? E se volessi essere cattiva, dovrei dire: non è stata ingenua?

No, al contrario. Proprio per questo quella frase diventa ancor più importante, perché segna una direzione. È vero, tutto quello che ha elencato è successo, accade. Sono pulsioni che prima non venivano manifestate apertamente, ora sì. Non ultimo perché ci sono problemi che non sono ancora stati risolti. E, giusto per completare l’elenco, ci sono stati anche altri fatti cruciali. Per esempio quelli di Colonia la notte di Capodanno. Una débâcle disastrosa, anche perché molte persone hanno avuto la sensazione che non se ne dovesse parlare, perché si può parlare solo di coloro che aizzano le persone contro i profughi, ma non se i profughi compiono atti criminali. E questa convinzione l’ho trovata rovinosa. Bisogna parlare di tutto, chi viola le nostre leggi deve essere chiamato per nome e deve anche assumersi la responsabilità davanti alla legge.

Il secondo punto cruciale, che però rischia di finire sempre più sullo sfondo, è che ci sono ancora molte, moltissime persone che aiutano i profughi, anche in veste di volontari. E questo è anche un elemento distintivo della nostra società. A loro sono immensamente grata, e a loro dico: “Sì, è una strada lunga e faticosa quella che abbiamo davanti. Qui c’è in ballo la Germania, c’è in ballo l’Europa, la nostra immagine nel mondo, e questo è un momento molto, molto importante della nostra Storia, e per questo sono particolarmente grata a loro.

Resto sulla sua affermazione “Ce la possiamo fare” e la convinzione che la Germania ce la possa veramente fare. Edmund Stoiber (ex governatore della Baviera e capo della Csu, n.d.t.) ha detto che la Germania è spaccata e che conosce chi è il colpevole di ciò: lei. Anche lei pensa di aver spaccato la Germania?

No, non sono d’accordo. Io dico che il momento attuale costituisce indubbiamente una sfida. Una sfida che non ho scelto io, che non ha scelto Stoiber, che non ha scelto nessuno. C’è una guerra civile in corso, c’è l’Isis, c’è incredibilmente tanta violenza ed emergenza davanti a casa nostra. E improvvisamente ci rendiamo conto che tutto questo sta varcando la soglia di casa nostra. Wolfgang Schäuble ha affermato che questo è un “rendez-vous con la globalizzazione”, una globalizzazione molto diversa da come l’abbiamo conosciuta fino a oggi. E questo genera le attuali controversie, perché molti non si sentono preparati ad affrontare questa situazione. Ora tocca capire come reagire…

Sì, e secondo Edmund Stoiber il suo modo di reagire è sbagliato e spacca il nostro Paese.

Edmund Stoiber dice anche, però, che sarebbe terribile se tutto ciò spaccasse l’Europa. Ed è esattamente questa idea che guida il mio operato.

Lei non vuole rispondere alla mia domanda, e cioè se la sua politica non rischia di spaccare la società tedesca…

Non è vero. Le rispondo: non lo penso. Penso che Stoiber ed io condividiamo molti punti di vista. Non molto tempo fa mi sono incontrata con lui, ed è chiaro che in quell’occasione si sono manifestati anche i nostri dissensi. Secondo lui la cosa più importante da fare è guardare principalmente, o quasi esclusivamente, alla Germania. Mentre io penso che chi guarda alla Germania, debba guardare all’Europa e anche oltre i confini europei. E se mi chiede come vogliamo raggiungere l’obiettivo comune, cioè mettere ordine, dare una direzione, ridurre il numero dei profughi che vengono da noi, allora non si può che iniziare da lì, da dove i profughi arrivano. Non è invece pensabile che la chiusura unilaterale delle frontiere possa togliere di mezzo il problema. Ed è questo il nocciolo del dibattito che porto avanti con grande determinazione. E se non siamo sempre dello stesso avviso, beh, devo farmene una ragione. Ci sono stati in passato molti temi politici su cui inizialmente non eravamo d’accordo, alla fine, però, si è rivelato giusto il mio corso. Io mi devo anche chiedere cos’è fattibile e corretto per la Germania. E la mia risposta è questa: tenere insieme l’Europa e mostrare umanità. Questo credo siano le due cose più importanti.

Sì, ma non può non farsi domande sulle ripercussioni sociali. Per questo insisto ancora sul primo argomento di questo incontro. Cioè sul tema “la Germania spaccata”. E torno su quanto detto da Stoiber in un’intervista allo Spiegel, e cioè “in Germania sta per frantumarsi la coesione interna”. A questa osservazione si è aggiunta poi quella del capo dei servizi di sicurezza interni, il quale ha spiegato dove sta avvenendo questo sgretolamento: cioè nel ceto medio. Ha ragione? Se qualcosa non cambia, se lei signora Kanzlerin, non cambia direzione, c’è il pericolo che proprio il ceto medio si radicalizzi? C’è il pericolo di una seconda Weimar?

No, a mio avviso no. Con questo non voglio negare che vi siano delle radicalizzazioni. Ma la mia responsabilità è quella di risolvere i problemi e le paure che le persone hanno. E devo trovare soluzioni affinché, alla fine del percorso, valgano gli stessi valori fondanti di prima. Devo trovare quella soluzione che vede arrivare da noi meno profughi e al tempo stesso che i profughi non siano più costretti ad abbandonare il loro Paese o i Paesi limitrofi al loro.

Sì, ma i radicali non credono in questa via…

Vero, non sono riuscita ancora a convincerli, ma credo di poterli convincere se mi riuscirà di risolvere il problema. Ma ci vuole tempo. Lo so bene che ci sono molte persone impazienti e io devo avere comprensione per questa impazienza, a patto però che non si comportino in modo indecente nei confronti dei profughi, o addirittura si macchino di crimini. Per questo tipo di comportamento non ci sono scusanti. Per il resto, come già detto, stiamo attraversando un periodo di accesi dibattiti, e io devo indicare chiaramente la direzione, cosa stiamo facendo, qual è l’obiettivo. E sono sicura che così facendo arriveremo a una soluzione sostenibile e duratura del problema. Una soluzione di cui non ci dovremo vergognare tra due o tre anni.

Ma se oggi sente che quelli che la contestano vengono dal ceto medio, sono ex elettori della Cdu e della Spd, a lei non viene la tentazione di dire: “Ok ho capito, ora cambio rotta”?

No, perché sono profondamente convinta che la direzione intrapresa sia quella giusta. Il che non vuole dire non apportare delle correzioni. Se per esempio arrivano improvvisamente molti profughi dal Marocco, dall’Algeria o dalla Tunisia allora devo aggiungere altri Paesi alla lista di quelli sicuri…

Suona facile… vedo un problema lo risolvo.

No, vuol dire che devo reagire. Ma il punto di partenza è quello di ridurre il numero di profughi che vengono da noi risolvendo le cause all’origine. E lo faccio proteggendo le frontiere esterne, combattendo gli scafisti, legalizzando gli ingressi per togliere i profughi dalle mani dei trafficanti. E tutto questo si fa agendo unitamente in Europa. Questo è l’approccio giusto, non solo perché lo penso io, ma perché lo pensiamo tutti. Noi come Germania siamo al centro dell’Europa e abbiamo un grande beneficio da questa Europa, per questo penso che sia giusto fare il possibile per procedere lungo questa direzione, anche se in Europa, è vero, le cose a volte impiegano più tempo per essere attuate. Ma su tutte queste questioni, proteggere i confini esterni, collaborare con la Turchia, i 28 stati membri sono già dello stesso avviso.

No, non è vero…

Sì invece.

Ma sui modi non c’è affatto consenso.

Sulle cose che le ho appena citato c’è il consenso di tutti. C’è un solo punto sul quale non siamo d’accordo e riguarda chi e quanti profughi accoglie. Su tutto il resto ci siamo accordati durante l’ultimo vertice: priorità per l’agenda Turchia, difesa delle frontiere esterne, lotta all’immigrazione illegale, ripristino del sistema Schengen e stop alla politica di lasciar passare i profughi liberamente. Questi sono gli accordi presi il 18 febbraio scorso. E da qui ripartiremo il prossimo 7 marzo.

Torniamo alla domanda su che effetti ha la sua politica sulla nostra società. Il suo vice cancelliere Sigmar Gabriel è dell’avviso che bisogna agire anche nella politica interna, cioè a favore della popolazione tedesca per impedire “che la società esploda” e che nella società si radichi l’affermazione pericolosa “per loro fate tutto per noi non fate nulla”. Wolfgang Schäuble ha definito l’appello di Gabriel assurdo, perché?

Mah, credo che Gabriel dipinga un quadro della situazione che non corrisponde alla verità. È vero, la frase che lui cita è preoccupante, e dobbiamo fare il possibile perché svenga smentita dai fatti. Gabriel con questa uscita sminuisce però anche se stesso e le riforme volute in primo luogo dal suo partito. Durante questa legislatura abbiamo fatto molto per i cittadini tedeschi. Non ci sono stati tagli, ci sono stati invece aumenti nelle pensioni e nei salari, sono stati stanziati fondi per la cura e l’accudimento delle persone anziane e non autosufficienti, per la medicina palliativa, c’è stata la riforma degli ospedali, è stato aumentato l’assegno per i figli e via dicendo.

In altre parole, lei non pensa che i tedeschi si debbano sentire svantaggiati rispetto ai profughi?

Io ho un’altra idea di politica. Cioè dire alle persone che cosa abbiamo fatto, cosa intendiamo fare. E certo non fare mia una frase simile… Anche se, e non lo nego, ci sono ovviamente persone che hanno paura.

Sì, ma è il capo dell’Spd…

Noi stiamo lavorando il più velocemente possibile per non parlare sempre e solo dei profughi. Far però passare il messaggio che ora dobbiamo fare chissà quale ulteriore sforzo, visto che il contratto di coalizione sottoscritto a suo tempo, lo stiamo attuando punto dopo punto, mi sembra sbagliato…

Ma lei non l’ha mai sentita questa frase: “per loro fanno tutto, per noi niente?” Non ha mai sentito dire dai sindaci, “prima o poi vorrei di nuovo avere a disposizione le palestre…”? O la frase di Gabriel “se la Cdu non trova presto delle valide alternative sarà responsabile della radicalizzazione nel Paese”?

Addossare le colpe agli altri è una mossa rischiosa. Anch’io avrei un paio di argomenti in proposito… Ma non mi presto a questo gioco. Noi abbiamo una responsabilità comune, una responsabilità che a mio avviso abbiamo gestito fino ad oggi piuttosto bene insieme ai socialdemocratici. E così faremo anche in futuro, continuando a parlarci e a confrontarci.

Secondo un sondaggio di Ard, l’81 per cento dei tedeschi è dell’avviso che il governo non abbia più il controllo della situazione dei profughi. Cercando di interpretare questa risposta, penso che voglia dire che in tutti questi mesi lei non è riuscita a comunicare il suo piano. O peggio ancora, di avere un piano preciso su come gestirli e integrarli.

Questo sondaggio era composto da due quesiti. La cosa che mi ha fatto molto piacere è che il 90 per cento degli intervistati è dell’avviso che anche in futuro chi fugge da guerra e violenza debba essere accolto da noi. È altrettanto vera però la loro convinzione che la politica, o meglio io, non abbia il controllo della situazione. E io a questo non posso replicare, lo capisco. E lo capisco, perché siamo sulla via della soluzione, ma il problema non è ancora risolto. Guardiamo le cifre. In ottobre sono arrivate da noi in media 7000 persone al giorno, in gennaio 2000. Voglio dire che siamo sulla buona strada, ma ne abbiamo ancora parecchia davanti a noi. Motivo per cui, finché il problema non sarà risolto definitivamente, una parte del Paese continuerà a pensare che non abbiamo il controllo della situazione.

Quel sondaggio era stato condotto dopo i fatti di Colonia. Atti di violenza che avevano finito per far sentire insicure le donne. I fatti di Colonia l’hanno spinta a domandarsi chi fossero, in fondo, le persone che stavano entrando a fiumi nel Paese?

Su questo argomento ho riflettuto già prima di Colonia. Certo Colonia da una parte ha messo in luce un sistema di sicurezza che non ha funzionato a livello locale. Dall’altra ha gettato un luce diversa anche sugli immigrati, o su quelli che vivono qui da noi già da tempo, tra cui soprattutto i nordafricani che hanno compiuto questi fatti. Colonia ha poi trasmesso anche la sensazione che si volesse nascondere quanto accaduto. E infine cosa deve voler dire integrare i nuovi arrivati. Ci vuole anche una certa dose di severità. Il multikulti qui è fuori luogo. Se vogliamo preservare quello che agli occhi di tanti profughi rende la Germania un Paese dove voler vivere, allora bisogna far capire che tutto ciò si basa anche su regole, regole che devono essere chiare sin da subito. E non si tratta di voler aderire o meno. Il nostro Paese si basa sulla parità tra uomo e donna, sulla libertà di espressione e di religione e chiunque venga qui deve accettare queste regole. Questo prevede peraltro anche la Convenzione di Ginevra.

Colonia sta, come lei stessa ha detto, anche per un fallimento da parte dello Stato. Uno Stato che non è stato capace di proteggere le persone che ci vivono. Questo ha generato insicurezza, le persone si sono attrezzate, chi con spray urticanti, chi dotandosi di un porto d’armi. Ma se non è nemmeno possibile sapere quante persone arriveranno ancora, perché continua a dire che ce la faremo ad accoglierle e ad integrarle tutte?

Come ho già detto, noi cerchiamo di ordinare e guidare il flusso e di ridurre al tempo stesso il numero delle persone che vengono da noi.

Parte 1/2 – (Traduzione a cura di Andrea Affaticati)

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