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Volkswagen, tutte le sterzate del poco ignaro Matthias Müller

C’è chi festeggia e chi prova a rimettere insieme i cocci. A festeggiare il suo 100esimo compleanno è la casa automobilistica tedesca Bmw: da ex fabbrica di motori per aerei a numero uno in Germania nel segmento della macchine di classe superiore, con una puntata – che non tutti conoscono – anche nelle pentole a pressione. A tentare di rimettere insieme i cocci è, invece, la Volkswagen, ancora numero uno in Europa, ma sempre più ostaggio di un passato assai inquinato e inquinante.

Un passato che i vertici sembrano ancora voler tenere nascosto, per quanto possibile, e che invece sembra essere ancora ricco di colpi di scena. L’ultimo lo svela oggi la Süddeutsche Zeitung. Secondo il quotidiano tedesco anche il nuovo ceo Matthias Müller (nella foto) era da tempo informato del dispositivo “Defeat Devise” che la Vw applicava da anni alle vetture diesel vendute negli Stati Uniti e in Europa, per ridurre in fase di test le emissioni. In tutto si parla di 11 milioni di macchine con i gas di scarico contraffatti.

Il 5 ottobre, pochi giorni dopo il passaggio di Müller dalla direzione di Porsche a quella della Vw, il neoeletto ceo ribadiva in una lettera al ministro federale delle Infrastrutture, il cristiano-sociale Alexander Dobrindt, che la manipolazione era stata opera di una ristretta cerchia di persone, costituita principalmente da ingegneri. I vertici stessi, così lasciava intendere anche questa lettera di Müller, ne erano totalmente all’oscuro. Müller nel momento della sua nomina a ceo aveva assicurato anche alle istituzioni assoluta cooperazione e trasparenza.

Parole più che fatti, denunciano molti osservatori, visto che la lettera in questione, conteneva una grave omissione. Müller, infatti, non diceva che i vertici di Vw erano da tempo al corrente del software applicato alle vetture. Ma così è, invece, stando a un memorandum di 111 pagine consegnato la settimana scorsa dall’azienda al tribunale regionale di Braunschweig. Un documento che è una ricostruzione dei fatti, passo compiuto per contrastare la richiesta di risarcimenti miliardari ai quali Volkswagen va incontro. Solo che il contenuto di questo memorandum rischia di mettere in difficoltà anche i nuovi vertici.

Dallo stesso documento si viene a sapere che i vertici di allora erano già al corrente di tutto, quando il 18 settembre scorso, l’Agenzia per l’ambiente Usa (l’Epa) rendeva noti i risultati delle sue indagini. Nel quartier generale di Wolfsburg si pensava di gestire lo scandalo in modo diverso, trattando con gli americani dietro le quinte per accordarsi su una multa ragionevole. L’allora direttore delle finanze e oggi capo del consiglio di sorveglianza Dieter Pötsch aveva messo in conto di risolvere tutta la vicenda con un centinaio di milioni di euro di ammenda.

Di ciò Müller non fa parola nella sua lettera a Dobrindt, eppure in veste di ceo della Porsche e dunque membro del vertice di amministrazione che faceva capo a Martin Winterkorn, doveva esserne al corrente. Il perché si puntasse a questo accordo è presto detto: casi simili c’erano già stati negli Stati Uniti, ed erano stati risolti in modo consensuale (e senza necessariamente informare l’opinione pubblica).

Volkswagen continua a dire solo quello che è costretta a dire dalle circostanze, lamenta uno degli avvocati degli azionisti. L’azienda sembra non essersi ancora resa conto della gravità della situazione. E anche i nuovi vertici paiono non aver realizzato che più cercano di nascondere i fatti e più sarà salata l’ammenda che Volkswagen sarà costretta a pagare. Così, dicono i più critici, i 18 miliardi di euro che Vw nel frattempo rischia di pagare sono anche la conseguenza del sua reticenza a mettere finalmente tutte le carte in tavola.

Se la strategia di Wolfsburg, quella dell’accordo consensuale con gli americani, fosse andata in porto, scrive la Sdz, non solo l’opinione pubblica avrebbe potuto essere tenuta all’oscuro della manipolazione, ma forse Vw non si sarebbe sentita nemmeno in obbligo di indagare se quel dispositivo fosse stato applicato anche su vetture vendute in Europa. E nemmeno si sarebbe saputo che Winterkorn, già nel maggio del 2014, accennava in una delle sue missive settimanali a un problema di emissioni negli Usa.

Al danno economico, molto più elevato di quanto si pensasse, si aggiunge quello d’immagine anche dei nuovi vertici. Diversamente da Siemens, per esempio, che nel 2007 chiamò l’austriaco Peter Löscher, un esterno, per far pulizia e mettere ordine nel gruppo allora investito da numerosi scandali di corruzione, Volkswagen ha deciso di rinnovarsi con personale interno. Nominando appunto l’ex direttore finanziario Pötsch a capo del consiglio di sorveglianza e Müller amministratore delegato.

A volere questo avvicendamento era stato tra l’altro il governatore socialdemocratico Stephan Weil (il governo della Bassa Sassonia è azionista della Vw). Weil motivò così la sua preferenza: “È vero, le scope nuove puliscono meglio, ma quelle vecchie conoscono anche gli anfratti più nascosti”. Non tutti la pensavano però così, e qualcuno si chiedeva se chi aveva già fatto parte del vertice con Winterkorn, avrebbe veramente pulito meticolosamente anche in quello che era stato il suo precedente ambito di competenze. A iniziare dall’austriaco Pötsch, amico di famiglia dell’azionista di maggioranza, la famiglia (austriaca) Piëch e nel precedente ruolo di direttore finanziario, sempre in stretto contatto con Winterkorn.


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