Skip to main content

Ecco i top manager inviperiti con Donald Trump

Il successo del candidato repubblicano alla presidenza degli Stati Uniti Donald Trump, sempre più vicino alla nomination, mette sovente in imbarazzo i suoi stessi compagni di partito e preoccupa le aziende della ricca e potente industria tecnologica americana. A tal punto che una serie di top manager della Silicon Valley si sono incontrati in gran segreto (ma la notizia è trapelata sull’Huffington Post) con esponenti del Partito Repubblicano in un resort su un’isoletta a largo della Georgia per capire come fermare l’ascesa di Trump e evitare che diventi il prossimo presidente degli Stati Uniti.

CHI HA PARTECIPATO AL MEETING

L’incontro si è tenuto nell’ambito dell’annuale World Forum dell’American Enterprise Institute a Sea Island (un evento che è sempre a porte chiuse); vi hanno preso parte il Ceo di Apple Tim Cook, il co-fondatore di Google Larry Page, il creatore di Napster e investitore di Facebook Sean Parker e il numero uno di Tesla Motors e SpaceX Elon Musk.

Per il Partito Repubblicano erano presenti: il capo della maggioranza al Senato Mitch McConnell, il Presidente della Camera Paul Ryan, i Senatori Tom Cotton (Arkansas), Cory Gardner (Colorado), Rob Portman (Ohio), Tim Scott (South Carolina) e Ben Sasse (Nebraska). Per la Casa dei Rappresentanti c’erano, tra gli altri, il Leader della maggioranza Kevin McCarthy, il presidente del Comitato Energia e Commercio Fred Upton, il presidente del Comitato sul Budget Fred Price, il presidente del comitato Servizi finanziari Jeb Hensarling. Ha preso parte anche il parlamentare Democratico John Delaney, che rappresenta il Maryland.

C’erano poi rappresentanti del mondo economico-finanziario americano: il miliardario Philip Anschutz (che ha fatto generose donazioni alle campagne dei Repubblicani), il direttore del Weekly Standard Bill Kristol e l’editore del New York Times Arthur Ochs Sulzberger Jr.

L’OBIETTIVO DEGLI ANTI TRUMP

“Uno spettro si aggira sul World Forum: lo spettro di Donald Trump”, ha scritto (parafrasando il Manifesto del Partito Comunista di Karl Marx) Kristol, guru dell’analisi politica di fede repubblicana che ha preso parte al meeting “segreto” insieme a Karl Rove, consulente politico sempre di fede conservatrice. Trump è considerato “imprevedibile” e “inadeguato per la presidenza” da molti elettori americani, dice Kristol (che ha chiarito con un tweet che tutti i suoi commenti sono da considerarsi “off the record”); “Molti sperano che venga sconfitto”.

Dopo le indiscrezioni dell’Huffington Post qualche executive ha preso le distanze. Lo staff di Cook ha specificato che il Ceo di Apple non ha partecipato a nessun dibattito di tema politico e Musk ha scritto un tweet per chiarire che non c’è stato nessun incontro segreto e che lui ha partecipato solo brevemente per parlare di “Marte ed energia sostenibile”, non di Trump.

Fonti dell’Huff Post hanno detto anche che molta della conversazione riguardante Trump si è concentrata sul “capire come sia accaduto, non come fermarlo”: non ci sarebbe dunque un “piano segreto” per impedire a Trump di arrivare alla Casa Bianca – anche se per per Kristol “il compito non è più capire il fenomeno Trump ma arrestarlo”.

LE INVETTIVE DI TRUMP

Donald Trump ha fatto dei big della Silicon Valley uno dei bersagli preferiti delle sue colorite e spesso inopportune invettive. Il Ceo di Amazon Jeff Bezos è stato definito un “truffatore” (userebbe il Washington Post, che ha comprato nel 2013 per pagare meno tasse): Trump lo ha minacciato dicendo che la sua azienda avrà problemi se lui diventa presidente. Mark Zuckerberg invece sosterrebbe politiche contro le donne e le minoranze; Apple non avrebbe alcun senso patriottico, visto che fabbrica alcuni dei suoi prodotti in Cina e ora si rifiuta di cedere alle richieste dell’Fbi di decrittare l’iPhone dei killer di San Bernardino: di qui l’invito a boicottarla (naturalmente Trump usa un iPhone).

Gli attacchi all’industria hitech sono un problema politico per i Repubblicani perché questo potente settore è tradizionalmente legato al Partito Democratico e per anni i Repubblicani hanno cercato invano di guadagnarne i voti. I Repubblicani non dimenticano che le aziende hitech hanno abbondanti risorse finanziarie e influenza, con i quali hanno contribuito per esempio alla vittoria di Barack Obama nel 2008 e nel 2012. “Non conosco nessuno nell’industria tecnologica che mi abbia detto che sosterrà Trump”, ha affermato Gary Shapiro, capo della Consumer Technology Association. Per Shapiro (di fede Repubblicana) Trump anzi è “the anti-tech guy”. Le figure di maggior prestigio della Silicon Valley, come la Chief Operating Officer di Facebook Sheryl Sandberg e il Ceo di Tesla Elon Musk, sono sostenitori di Hillary Clinton.

GLI SCIVOLONI DI TRUMP

Ci sono dei leader dell’hitech che simpatizzano per i Repubblicani, come il Ceo di Cisco John Chambers e la Ceo di Hewlett Packard Enterprise Meg Whitman, ma non per Trump. Chambers ha sostenuto Marc Rubio, la Whitman aveva scelto Chris Christie, governatore del New Jersey che ha abbandonato la gara lo scorso mese. Trump “non è adatto ad essere presidente”, ha detto la Whitman.

Sono la retorica di Trump e la sua incompetenza sulle questioni hitech ad alienargli il sostegno dell’industria tecnologica, come quando ha suggerito che Bill Gates “chiuda Internet” per fermare l’uso dei social media da parte dello Stato Islamico, o come quando si è opposto alla richiesta avanzata al Congresso da Zuckerberg (e altri Ceo dell’hitech) di ampliare il numero di lavoratori stranieri qualificati che possono entrare a lavorare ogni anno negli Stati Uniti: per questo Trump ha dichiarato che Facebook vuole sfavorire donne e minoranze americane (poi ha ritrattato questa affermazione), mentre l’industria hitech ha fame di cervelli.

Molti Repubblicani conservatori sono scontenti: Ted Ullyot, socio della società di venture capital Andreessen Horowitz che ha sostenuto Jeb Bush, ha dichiarato: “Non ho mai sentito nessuno fare commenti positivi su Trump, mai”.


×

Iscriviti alla newsletter