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Giorgia Meloni e il “governo di eunuchi”

Giorgia Meloni

Se diventerà sindaco di Roma, Francesco Storace ha promesso di cacciare il presidente della Lazio Claudio Lotito e ha minacciato di chiudere tutti i ristoranti indiani della Capitale ove i nostri marò non fossero immediatamente liberati. La promessa è commendevole (sono un tifoso della squadra che ha come simbolo l’aquila), la minaccia è ridicola. In tutti e due i casi, il primo cittadino Storace non ne avrebbe facoltà. Ma in campagna elettorale, si sa, le “voci dal sen fuggite” si sprecano. La stessa Giorgia Meloni, ad esempio, non ha esitato a definire quello di Renzi un “governo di eunuchi”, perché incapace di restituire alla patria i fucilieri di marina Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.

Forse la leader di Fratelli d’Italia ancora non sapeva che dal 2014 proprio in India quell’epiteto non è più, almeno giuridicamente, oltraggioso. Con una storica sentenza, infatti, la Corte suprema di New Delhi ha sancito che c’è una terza identità di genere, e che essa è legale. Dopo aver conquistato nel 1984 l’elettorato attivo e passivo, le cosiddette “creature dimezzate” – considerate più reiette perfino della casta degli “intoccabili” – ora possono accedere alle provvidenze previste per le minoranze indigenti. Un altro successo per l’Hijra Kalian Society, l’organizzazione che difende i diritti dei circa tre milioni di “senza sesso” cristiani, induisti e musulmani. Secondo i suoi dati, oltre mille bambini vengono castrati ogni anno per mano di parenti e di criminali. La percentuale dei decessi è elevatissima, a causa delle condizioni igieniche in cui viene eseguito l’intervento. Un taglio secco, nessun punto di sutura, solo un impacco di olio di sesamo. Il ragazzo, tremebondo, con gli occhi sbarrati sull’immagine di Bahuchara Mata, la divinità a cui gli hijras sono devoti. Chi sopravvive è destinato a prostituirsi e a chiedere l’elemosina. Se ha fortuna, viene reclutato come cantante nelle feste nuziali.

Contrariamente a quanto si può pensare, l’eunuchismo non è un fenomeno in via di estinzione. Ci sono siti web come “Born Eunuchs” e “The eunuch archive” che forniscono informazioni e consigli sull’evirazione. Qui gli utenti non sono i diseredati del Terzo mondo, ma evoluti cittadini europei e americani. Il moderno fascino della castrazione ha componenti molteplici: morbosa curiosità, desiderio di continenza assoluta, mezzo per agghiaccianti esperienze sessuali, tappa del percorso transgender. Talvolta è considerato un modo per rimanere innocenti di fronte alla dilagante corruzione dei costumi. Queste motivazioni, vere o false, plausibili o incredibili, razionali o assurde, cercano di sostituire lo stereotipo dell’eunuco con l’apologia della castrazione come nascita di una persona migliore. In un bel libro (“I guardiani del potere“, il Mulino), Fabio Mini le ha smontate una ad una.

Qui mi limito a ricordare che le origini della castrazione umana, dal latino “castrare”, lemma imparentato con il sanscrito “çastrám” (coltello), risalgono probabilmente agli antichi Sumeri. La mutilazione degli organi genitali maschili fu adottata nelle guerre primordiali per togliere ai nemici qualcosa di più della stessa vita: la possibilità di trasmetterla. In questo senso, gli eunuchi – grazie alla loro impotenza – saranno più tardi investiti della difesa del bene supremo del potere: la discendenza. Tuttavia, il ricorso agli eunuchi come custodi dei ginecei nasce quando la linea di sangue comincia a delimitare l’accesso al potere. Con l’affermazione del modello imperiale, la linea del sangue e la sua integrità dovevano essere assolutamente salvaguardate. La sua amministrazione aveva bisogno di funzionari senza prole, senza clan e senza ambizioni pericolose. Sia come “guardiano di letto” (è questo il significato del termine greco “eunukos”), sia come ambasciatore, generale o spia, l’eunuco ha corrisposto a queste esigenze di carattere politico più che alla gelosia dei regnanti. È uno dei tanti paradossi di cui è piena la storia: l’impotenza al servizio del potere.

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