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La Pasqua, Isis e le stragi di Bruxelles

scuola

Quando ci fu la strage di  bambini a Beslam, in Ossezia nel 2004, lanciammo la proposta di accendere una candela alla finestra in ricordo di quegli angeli  innocenti trucidati e l’Italia si illuminò come reazione e compassione.

Tanti anni sono passati e il terrorismo colpisce più che mai in tutto il mondo. Ancora oggi le madri di Beslan   lottano  per far luce sull’opacità operativa della cellula di crisi, sulla responsabilità delle esplosioni che fecero scattare il blitz delle forze speciali russe, sulla presunta fuga di alcuni componenti del commando ceceno e sulla totale disorganizzazione nei soccorsi. Bruxelles è stata l’ultima; da Madrid a Londra, da Copenaghen a Parigi, sono già tante le capitali europee che l’estremismo islamico, negli ultimi anni, ha sporcato con il sangue. E non basta lanciare palloncini bianchi, scrivere la parola Pace sui muri, posare fiori sui luoghi colpiti dalla furia di un Islam armato che non sarà mai moderato.

Avevano ragione Oriana Fallaci e il cardinale Giacomo Biffi: entrambi ci hanno lasciato memorie indistruttibili, per non rimuovere l’assalto e farci capire, premonitori allora, come si sarebbe frantumato il nostro vivere lieve. Noi non possiamo e non dobbiamo non assumerci la responsabilità di un buonismo che con codardia si presta alla sottomissione. Siamo in guerra e il nemico è il sedicente Stato islamico, ora insidiatosi nel cuore dell’Europa, che  ci sta massacrando. Sono nati e vissuti qui e non ci sono né pentiti  né collaboratori, ma solo messaggeri e guerrieri di morte. Serve una forza politica occidentale e una diplomazia militare e strategica che non predichino, ma piuttosto agiscano, e subito. Essere consapevoli, tutti e subito, perché non c’è più tempo, perché l’Europa è sorella di Israele e di Tripoli, dell’Iran e della Siria, messi in ginocchio e colpiti dall’intolleranza e dalla bulimia del potere stragista.

Dalla Russia non ci possiamo aspettare solo “amore”,  così come in America non possiamo contare sui fallimentari “Yes We Can”. Già ebbi a ricordare, su queste pagine, il nostro demenziale nichilismo quando nel Trattato di Lisbona abiurammo consapevoli  le nostre radici cristiane, inaugurando così una stagione di vanesie eredità culturali e religiose, spalancando le porte a una non definita identità europea.

Non mi sottometto alla religione musulmana, né oggi né mai, e non intendo arrendermi  di fronte alla disintegrazione che i difensori del multiculturalismo ad oltranza stanno compiendo dei nostri valori e non mi rassegno a sopportare questo estremismo introdotto sui banchi di scuola.

In questa situazione al popolo italiano non basta dirgli che “non dobbiamo cambiare le nostre abitudini”, né intervistare il capo dei servizi segreti italiani che tenta di spiegare in burocratese, o il giovane toscano che dà una veste di presidio a Palazzo Chigi. Dobbiamo essere consapevoli che proprio a causa di troppi segreti non c’è una adeguata collaborazione tra servizi di intelligence, non c’è fiducia reciproca e il terrorismo si sviluppa nel liquame di una mancanza di cooperazione multilaterale che è rimasta una promessa ma mai attuata, sia in Italia che in Europa.

Non è solo la misericordia che contrasta il male dei califfati e degli assassini, perché la nostra sicurezza non è certa se non prendiamo posizione e agiamo contro l’Isis. Non vale l’ossimoro “se noi non partecipiamo non ci attaccano”. La paura e il disorientamento di un popolo occidentale che è attaccato, e che potrebbe esserlo ancora, è causata dall’ambiguità dei comportamenti: assumiamoci con coraggio la nostra responsabilità, perché la Pasqua della Resurrezione è anche quella di un popolo che guarda in faccia la realtà e difende la sua tradizione, anche affrontando un conflitto che non sarà breve.

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