Fino all’ultimo il premier olandese, Mark Rutte, aveva sperato che il quorum non fosse raggiunto. Confidava, come lui stesso aveva detto, “nella saggezza dei suoi connazionali”. Ieri si è tenuto in Olanda il referendum sul Trattato di associazione dell’Ucraina all’Unione Europea. Affinché il voto fosse valido, doveva votare il 30% degli avanti diritto. E invece, a chiusura delle urne, era andato a votare il 32%, con un risultato inequivocabile: oltre il 60% ha votato “No”. Come nel caso della Costituzione Europea, gli olandesi hanno detto “No”.
Tanto chiaro il voto, tanto incerte le conseguenze. Il Trattato di associazione con l’Ucraina, a dire il vero, è entrato in vigore “provvisoriamente” già il 1° gennaio di quest’anno. Il governo olandese aveva già votato a favore nell’estate scorsa. Un voto vincolato però a questo referendum, appunto. Dal 2015 in Olanda è possibile indire referendum su leggi di carattere nazionale. Si tratta di consultazioni popolari non vincolanti, certo, ma è poco probabile che il governo ignori il risultato di ieri. Tra un anno si terranno le elezioni parlamentari e gli olandesi se ne ricorderebbero. Così Mark Rutte, già ieri sera, ha dichiarato che “se il referendum è valido non possiamo andare avanti come se niente fosse”.
Una soluzione “à la Bruxelles”, a dire il vero, ci sarebbe (come c’è stata poi per il Trattato di Lisbona). Come hanno spiegato prima delle elezioni alcuni esperti, il Trattato di associazione si compone di due parti. La prima riguarda la collaborazione in ambito politico. La seconda, invece, il libero commercio. Quest’ultima è però di esclusivo appannaggio dell’Ue e non materia di referendum. L’Aia potrebbe dunque sfilarsi da una parte del Trattato.
Ai promotori del no, il direttore della rivista GeenStijl (letteralmente “privo di stile) Jan Roos e Thierry Baudet capo del think tank “Forum per la democrazia” (di stampo nazionalista), il tema del referendum interessava poco. La ratifica del Trattato di associazione con l’Ucraina è stata semplicemente la prima “occasione” attraverso la quale far valere la nuova legge sui referendum e votare contro Bruxelles. Non a caso la campagna elettorale dei “no” ha usato temi e spauracchi che nulla hanno a che fare con il Trattato. Per esempio, che lo stesso sia l’apriporta per l’Ucraina a diventare membro dell’Ue, il che non è vero.
A parte l’imbarazzo nel quale si trova ora il governo di coalizione olandese (composto da liberali e socialdemocratici), l’esito del referendum di ieri potrà avere anche un ulteriore effetto, assai più temuto da Bruxelles. A suggerire e a spingere Baudet e Roos a promuovere il referendum è stato anche l’imminente referendum nel Regno Unito che deciderà sulla permanenza o meno dei britannici nell’Ue.
Il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, qualche settimana fa – a proposito del referendum olandese – aveva detto: “La vittoria del no potrebbe dare il via a una crisi continentale”. Il riferimento era ovviamente anche al temuto Brexit. Un altro effetto assai sgradito a Bruxelles è che la vittoria dei no deve aver riempito di soddisfazione il presidente russo Vladimir Putin.
E così, mentre a Mosca si brindava a Kiev si faceva largo la delusione. Proprio per questo Trattato che l’allora presidente Viktor Janukovic su pressione di Mosca si era rifiutato di sottoscrivere, nell’inverno 2013/2014 centinaia di migliaia di ucraini erano scesi in piazza Maidan. C’erano stati morti, nel frattempo la Crimea è stata annessa dalla Russia mentre nel Donbas la pace non è ancora tornata. Nelle ultime settimane gli ucraini avevano cercato di convincere gli olandesi con video amatoriali messi in rete di votare “sì”. Facevano appello alla solidarietà, sottolineavano che il Trattato avrebbe permesso loro di debellare la corruzione ancora alta nel paese, di procedere lungo la strada della democrazia e della modernizzazione. Ma non è servito. La solidarietà in Europa è attualmente merce rara e Bruxelles – come ha dimostrato anche il voto olandese di ieri – è attualmente poco amata.