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Le scosse al Governo egiziano

Putin al sisi

La televisione e i giornali informano quotidianamente l’opinione pubblica in merito al cosiddetto “affaire Regeni”, il ricercatore italiano ucciso in Egitto dopo essere stato visibilmente torturato.

In queste settimane non sono mancati commenti autorevoli e interessanti sebbene un punto non sia stato messo a fuoco in modo netto.

Si obietterà che i media hanno già individuato il problema, e cioè che bisogna insistere nella ricerca della verità poiché Giulio Regeni è stato barbaramente assassinato nel contesto di una faida, un conflitto tra pezzi dello Stato egiziano, siano essi corpi di sicurezza, frange dell’esercito o dell’intelligence.

C’è una contro-obiezione. Qual è lo sfondo di questo conflitto in cui è stato coinvolto il nostro concittadino? In primis, il cadavere di Regeni è stato abbandonato ai bordi di una strada per far sì che fosse trovato e si aprisse il caso in maniera plateale di fronte all’opinione pubblica, nazionale ed internazionale.

Se così non fosse il suo corpo sarebbe stato fatto sparire senza che i suoi aguzzini incontrassero la minima difficoltà; in Italia succede alle vittime della lupara bianca, persone che da un giorno all’altro scompaiono e il cui corpo viene occultato per sempre.

Regeni era in contatto principalmente con esponenti riconducibili al movimento dei Fratelli Musulmani, i quali sono all’opposizione dell’attuale Governo Al Sisi, e già questo lascia immaginare che l’attuale Governo egiziano non vedesse di buon occhio l’attività politico-culturale “di ricerca” di Regeni.

Alcune domande: come giudichiamo noi, come comunità internazionale, come Occidente, l’attuale Governo Al Sisi, indipendentemente dall’omicidio Regeni? L’Egitto non ha forse bisogno di un cambio al vertice in modo da beneficiare di una lenta ma vera trasformazione democratica?

L’attuale Governo egiziano non ha la levatura necessaria per intraprendere un autentico cammino di natura riformista, e non è affatto vero che esista soltanto l’attuale classe dirigente al potere, avvezza a metodi non proprio democratici soprattutto con i propri concittadini. Si tenga conto inoltre del capitolo Libia, paese confinante con l’Egitto.

Le conseguenze della guerra civile sono terribili per i libici ma assai preoccupanti per i suoi vicini.

L’Egitto ha subìto e subisce danni sotto il profilo economico e della sicurezza, dovuti al contrabbando di armi, di droga e all’ingresso nel paese di migliaia di militanti di Daesh, che vanno ad ingrossare i reparti già consistenti sul suolo egiziano, quelli che combattono nella Penisola del Sinai diventata rifugio per la criminalità organizzata e la militanza islamica.

Tutto questo nonostante l’Egitto sia intervenuto anche militamente con un sostegno diretto all’esercito regolare libico. Per l’Egitto, il caos in Libia è fonte di ansia, sia per il gran numero di cittadini egiziani presenti in quel paese (in gran parte disoccupati e in condizioni sociali disperate), sia a causa del lunghissimo confine che li divide.

Secondo fonti americane il Cairo, che aveva posto in essere una collaborazione con l’americana “Defense Security Cooperation Agency (DSCA), imperniata su un un sistema di sensori, comandi e controlli per monitorare tutto il confine con la Libia, oggi non è più capace di sviluppare pienamente questo progetto. E dunque non è in grado di garantire la sicurezza di quel confine e di tutto il paese.

E ancora, quali sono gli interlocutori di Al Sisi in politica estera? Si registra una vicinanza all’Italia un pò troppo stretta di cui certamente l’Eni ha beneficiato, con la sua tradizionale abilità. Fin qui nulla di strano; gli Stati costruiscono le alleanze per l’energia, le risorse, il petrolio, il gas, l’acqua, la terra. E tutti sanno quanto l’Italia abbia un bisogno strategico di energia, di nuovi sbocchi e nuove partnership.

C’è però un problema: la ricerca di risorse non può contraddire, a lungo andare, il sistema delle alleanze politiche e militari di cui una nazione fa parte, e questo va ricordato soprattutto ai leader dei paesi europei meno forti, quelle dove i capi di Governo si indeboliscono in fretta.

Al Sisi ha instaurato rapporti con la Russia, la stessa Russia che li ha instaurati con l’Iran, un Paese peraltro a maggioranza sciita. A questo punto è naturale attendersi una reazione con conseguenti attività terroristiche di matrice sunnita, in Egitto e in Russia, anche con effetti destabilizzanti.

In conclusione, l’Egitto, oggi, è una nazione stabile? O al suo interno ha preso forma non una faida ma uno scontro fra opposti interessi con conseguenze letali?

Probabilmente il Governo Al Sisi non è in grado di resistere a queste scosse. E’ in questo delicato incastro di visioni inconciliabili che si è consumata la tragedia di Giulio Regeni. La politica oggi ha bisogno di cambi molto rapidi. L’Egitto fornisce certezze democratiche quasi nulle alla comunità occidentale. E ha un Governo molto fragile sulla cui longevità è permesso di dubitare.



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