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Siria, Mosca schiera l’artiglieria e Washington pensa all’antierea

La Russia sta ammassando unità varie di artiglieria e truppe a supporto nel nord della Siria, probabilmente in vista di un’offensiva su Aleppo per prendere il controllo della città. Lo ha riferito un funzionario del governo americano al Wall Street Journal, che ha pubblicato l’informazione con un filo programmatico: infatti è uscita il giorno precedente alla prima riunione dopo due anni del Consiglio Nato-Russia. Se l’incontro di mercoledì a Bruxelles poteva essere considerato, nonostante le distanze e le incomprensioni, un segnale positivo (“intanto ci parliamo” commentano i diplomatici), lo spostamento di corpi da combattimento russo è un segnale fortemente negativo, tanto che il presidente americano Barack Obama lunedì ha avuto una telefonata con Vladimir Putin invitandolo a mantenere in piedi il cessate il fuoco concordato da Mosca e Washington il 27 febbraio e usare la sua influenza per contenere Bashar el Assad; il portavoce della Casa Bianca Josh Earnest ha definito la conversazione “intensa”.

HONEST BROKER CHE NON LO ERANO

Agli inizi di aprile il capo della Cia John Brennan si è recato a Mosca per incontrare le controparti russe: era il periodo in cui la Russia aveva liberato Palmyra dalla presenza dello Stato islamico, una fase in cui i media dipingevano Putin come il salvatore dal terrorismo globale, e anche gli americani si erano convinti che potesse giocare da “honest broker”: la riconquista della città storica arrivavano dopo settimane di cessate il fuoco relativamente potabile (c’erano varie violazioni, ma erano sostenibili).

RIPRENDERE ALEPPO

Ora pare, secondo al fonte del WSJ, che quelle stesse unità che hanno ripreso Palmyra (lanciarazzi multipli, cannoni, carri armati e forze speciali) sono state dispiegata intorno ad Aleppo e sul lato di Latakia che dà verso Idlib. Aleppo è la seconda città siriana, riprenderne il controllo potrebbe significare per il regime dare il colpo definitivo ai ribelli: a gennaio era stata teatro di un’offensiva (che tra le altre cose aveva causato un incremento dei flussi migratori verso la Turchia, e l’Europa) con cui i lealisti aveva accerchiato tutto il perimetro cittadino, salvo poi fermarsi, stranamente, a pochi chilometri dall’accerchiamento definitivo; negli ultimi giorni i ribelli insieme ad alcuni gruppi jihadisti hanno lanciato una controffensiva che Damasco fatica a contenere.

ADDIO TALKS

Lo sviluppo dei combattimenti ha fatto sì che il cessate il fuoco saltasse definitivamente, come è saltato il tavolo dei talks negoziali a Ginevra: molte delle opposizioni, che rappresentano pure parte dei ribelli moderati, hanno lasciato la città svizzera nei giorni scorsi, anche a causa dell’ultima ondata di bombardamenti governativi che ad inizio settimana ha colpito alcune aree fuori Damasco e Homs, il nord di Aleppo e a sud di Idlib, uccidendo almeno 60 civili; le bombe del regime sono cadute, per esempio, su un mercato a Maarat al Numan colpendo esclusivamente innocenti.

L’AVVISO DI BRENNAN 

Nella visita di aprile, Brennan aveva avvisato la Russia: se il cessate il fuoco non reggerà, la conseguenza sarà un’escalation del conflitto, riferisce quel funzionario al WSJ. Gli alleati arabi degli Stati Uniti, rappresentati soprattutto dai paesi del Golfo e dalla Turchia (tagliata fuori dalle supply line ai ribelli dallo schieramento dell’artiglieria russa a pochi chilometri dai propri confini), chiedono venga fornita maggiore assistenza alle opposizioni, che avrebbero bisogno di più armi e più tecnologiche anche per combattere meglio contro lo Stato islamico. Argomento che pare sia stato trattato anche nell’incontro (avvenuto sempre mercoledì) tra Obama e i regnanti di Riad.

IL NUOVO (VECCHIO) PIANO

Nelle ultime settimane è tornato in auge un vecchio piano pensato dalla Cia insieme ad altre intelligence alleate (quella saudita, giordana e turca) che prevede di rifornire di armi sofisticate come i Manpads antiaerei alcune fazioni di ribelli selezionate. Una spedizione pare già essere arrivata in Siria, ma probabilmente inviata in via non ufficiale da parte di qualche generoso sostenitore locale: la fazione Harakat Tahrir Homs ne ha ottenuti alcuni, li ha mostrati in un video, che riprende anche alcuni istruttori mentre insegnano ad altri combattenti l’uso degli armamenti. Sono Fn-6, un prodotto di fabbricazione cinese non inedito nel teatro siriano: si vedono in mano ai ribelli fin dal 2013, pare li abbia forniti clandestinamente il Qatar, ma il fatto che tornano in questo momento è un segnale. La scorsa settimana, un altro articolo informato del Wall Street Journal aveva parlato proprio di quel “piano B” di fornitura della Cia: il pezzo era una sorta di minaccia asimmetrica a mezzo stampa, dopo che il regime aveva annunciato una prossima offensiva su Aleppo supportata dai mezzi russi. Da Mosca avevano negato le affermazioni di Damasco (smentita pubblica pesante), ma a seguire i nuovi spostamenti pare che ci si ritrovi nella solita politica del “bastone e carota” russa (definizione del think tank Stratfor). Probabile che Brennan si riferisse all’invio dei Manpads quando ha parlato di escalation con i servizi segreti russi, solo che i missili antiaerei adesso poco possono contro l’artiglieria pesante messa da Mosca sul lato nord di Aleppo: un rincorrersi continuo, mentre la pace sfugge.

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