Si producono, a volte, degli accadimenti politici che, nell’immediato, sono scarsamente notiziabili; e ciò nonostante che, già a un primo sguardo, mostrino di essere dotati delle caratteristiche che, un domani, potranno farli entrare, come minimo, in qualche cronologia storica. Con ogni probabilità, è questo il caso dell’assemblea degli iscritti al Partito Radicale che si è svolta a Roma dal pomeriggio di sabato 23 aprile alla sera di domenica 24. E che essendo, appunto, solo un’assemblea di iscritti, convocata peraltro informalmente, e non la riunione di un organismo dirigente, non ha messo capo a nessuna decisione. Come anzi ha detto domenica sera, in conclusione dell’incontro, l’ex deputato radicale Sergio D’Elia, “la riunione non finisce qui”. Dando con ciò l’idea che i promotori, di cui D’Elia fa parte avendo firmato un documento-appello di convocazione pubblicato su l’Unità il 3 aprile, auspichino una sua qualche prosecuzione.
Per adesso, però, nessuna decisione e quindi, come si diceva, nessuna notizia. Eppure, nella sede posta al n. 76 di via di Torre Argentina, qualcosa è successo. Qualcosa che ha un valore storico. Questa è stata infatti la prima riunione nazionale del Partito Radicale convocata e organizzata sapendo che, ad essa, Marco Pannella non avrebbe potuto partecipare. O, per dir meglio, sapendo che Pannella non avrebbe potuto prendervi parte non per cause contingenti, ma per gravi motivi di salute. E che non avrebbe quindi potuto portare il suo contributo, fino ad oggi decisivo in via di Torre Argentina, nella ricerca della risposta alla domanda che stava, in sostanza, alla base della riunione: quale strada dovrà imboccare, da adesso in avanti, il Partito Radicale?
Prima di vedere quali risposte siano state date a questa domanda, occorre però ricordare in quale punto della vicenda di questo singolare movimento politico oggi ci troviamo. Il Partito Radicale nacque nel 1956 in seguito a una scissione che era stata promossa da quella che era allora la sinistra del vecchio Partito Liberale italiano (Pli). Nel corso degli anni 60, Pannella, che ne aveva via via assunto la guida, ne fece un movimento particolarmente impegnato sul terreno dei diritti civili. Dopo il ’68, il Partito Radicale, il cui simbolo era il profilo di una testa maschile sormontata da un berretto frigio, incontrò la domanda di emancipazione che saliva da una società in rapida evoluzione e che voleva liberarsi da vecchie costrizioni. Lungo gli anni 70 e la prima metà degli anni 80, il Partito di Pannella, di Adele Faccio e di Emma Bonino capeggiò le lotte per l’introduzione del divorzio nel nostro ordinamento legale e per la regolamentazione dell’aborto; lotte coronate, peraltro, da innegabili successi. Lo stesso partito, inoltre, impostò allora altre battaglie antiproibizioniste, come quella sulle droghe. Giunti al culmine di questa fase, però, Pannella disse basta all’esperienza, che forse gli appariva ormai consumata, del “vecchio” Partito Radicale. Per motivi di cui gli storici non hanno ancora dato una spiegazione esaustiva, lo stesso Pannella propugnò, infatti, la costruzione di una struttura originale e complessa, la cosiddetta “galassia radicale”. Da un lato, una serie di associazioni tematiche, già esistenti, che divenivano, per suo impulso, costituenti di un nuovo soggetto politico. Dall’altra, la sua vera, nuovissima creatura: il Partito Radicale Nonviolento, Transnazionale e Transpartito. Una creatura politica che, tra l’altro, abbandonando il vecchio marchio, ormai troppo “giacobino” agli occhi di Pannella, assumeva un nuovo simbolo, contenente l’immagine di Ghandi, e cioè del padre della nonviolenza.
Con questa nuova formazione, Pannella e Bonino impostarono, a partire dagli anni 90, alcune campagne internazionali destinate anch’esse a incontrare notevoli successi, come quella per la moratoria delle esecuzioni capitali, accettata da vari paesi caratterizzati dalla persistenza della pena di morte nei propri ordinamenti, o quella contro le mutilazioni genitali femminili. Va anche detto, però, che il Prntt, pur avendo avuto un paio di segretari non italiani – il belga Olivier Dupuis e il maliano Demba Traoré – e pur essendo stato riconosciuto dall’Onu nel 1995 come Organizzazione non governativa, non è mai riuscito a darsi una vera struttura internazionale. Nel frattempo, l’Associazione politica denominata Radicali Italiani, una delle associazioni costituenti il Prntt, ha progressivamente perso la spinta propulsiva del vecchio Partito Radicale, non riuscendo più a intercettare le spinte più o meno contraddittorie provenienti dalla società del nostro Paese, né a proporre ad esse convincenti soluzioni politiche.
Nel nuovo secolo, la crisi organizzativa e politica dell’area radicale si è quindi accentuata. Le iscrizioni al Prntt sono crollate al di sotto dei 1.000 membri, mentre le sue modeste risorse finanziarie si sono trasformate in debiti ammontanti a più di un milione di euro. Tanto che l’anno scorso il Partito si è visto costretto a licenziare tutti i suoi pochi dipendenti. Peraltro, mentre Radicali Italiani ha mantenuto l’andamento di una vita formalmente regolare, con i suoi congressi annuali e con gli organismi dirigenti che ne derivano, l’ultimo congresso del Prntt risale al 2011. Il Partito è quindi da tempo privo di un segretario.
Ma torniamo allo scorso week end e a via di Torre Argentina. Come era abbastanza prevedibile, da un giorno e mezzo di dibattito appassionato, e segnato qua e là da toni anche aspri, sono venute due risposte di fondo al quesito sul futuro dell’iniziativa politica radicale. Da un lato, i fedelissimi di Marco Pannella, maggioritari nel superstite gruppo dirigente del Prntt, che si aggrappano all’ultima iniziativa lanciata da Marco Pannella. Iniziativa volta a ottenere che in sede Onu venga riconosciuta l’esistenza di un nuovo diritto, il cosiddetto “diritto umano alla conoscenza”. Questo gruppo appare capeggiato dall’attuale tesoriere del Prntt, l’ex parlamentare Maurizio Turco, e ha la sua punta di lancia in Matteo Angioli, l’ex assistente di Pannella al Parlamento Europeo che si è impegnato, in modo più ravvicinato, nella costruzione di quella rete di relazioni e di contatti che dovrebbe portare al raggiungimento dell’obiettivo.
Per questo gruppo, l’azione politica in Italia è relativamente priva di interesse, salvo due rilevanti eccezioni. Da un lato, la battaglia per una giustizia “giusta” e per il miglioramento delle condizioni dei carcerati, su cui si è particolarmente impegnata, nel periodo in cui ha guidato Radicali Italiani, un’altra ex-deputata, Rita Bernardini. Dall’altro, la pressione volta a far sì che Consigli comunali e regionali votino ordini del giorno in favore della battaglia per il riconoscimento del diritto alla conoscenza.
Già, ma che cos’è, esattamente, questo nuovo diritto? Se lo è chiesto anche Emma Bonino che, nel corso di un appassionato intervento, tenuto nel pomeriggio di sabato 23, ha contestato ai promotori della campagna di non aver ancora definito in che cosa esso consista. Per lei, che aveva condiviso, a suo tempo, la nascita del Prntt, la priorità dell’oggi è quella della crisi dei “valori europei” che rischia di far naufragare il progetto stesso della costruzione politica dell’Europa. “Con le energie di cui dispongo – ha detto – io mi occupo di profughi.” Cioè, par di capire, delle migliaia di profughi che bussano alle porte dell’Europa, fuggendo da paesi in guerra in cui viene loro concretamente negato ogni più elementare diritto, a partire da quello di vivere.
L’altra linea – altra, cioè, rispetto a quella prevalente nel Prntt – è quella propugnata dal gruppo uscito vincitore dal Congresso di Radicali Italiani, tenutosi a Chianciano nell’autunno 2015. Questo gruppo, guidato da Riccardo Magi e da Marco Cappato, rispettivamente segretario e presidente dell’associazione, sembra essere, come Emma Bonino, non particolarmente affascinato dalla tematica dell’impalpabile “diritto umano alla conoscenza”. Piuttosto, allo scopo di ritrovare una funzione credibile, sono favorevoli all’ideazione e alla costruzione di una serie di iniziative in ambito anche locale che, usando sia l’arma referendaria che quella della partecipazione – variamente declinata – alle imminenti elezioni comunali, oltre a ricorsi vari avanzati sul piano legale, consenta a un soggetto radicale di tornare a fare politica nel nostro Paese.
Finito l’incontro, sorge dunque la domanda: e ora, che succederà? Da un punto di vista ideologico, una ricucitura non appare impossibile, perché, dopotutto, sia gli uni che gli altri sono cresciuti alla scuola politica del Fondatore, Marco Pannella. Ma non è tutto qui. Infatti, non sono solo due linee a confrontarsi, ma due gruppi, due diversi idem sentire. Gianfranco Spadaccia ha parlato di un processo di “divaricazione” che sarebbe ormai in corso, e che porta gli uni a non iscriversi a Radicali Italiani e gli altri a non prendere la tessera del Partito Radicale. Angiolo Bandinelli ha rincarato la dose, parlando di “contrapposizione” fra i due gruppi.
Ciò che a questo punto sarebbe esiziale per il futuro dell’area radicale, è il rischio che qualcuno intesti agli uni (e non agli altri) la qualifica di erede (politico, si intende) di Pannella. Un rischio che deve essere stato avvertito anche da Emma Bonino se, a un certo punto del suo intervento, ha sentito la necessità di dire che lo stesso Pannella le ha insegnato che “nessuno è erede di nessuno”.
Ora, a parte il fatto che Pannella – come ha opportunamente ricordato lunedì su Radio Radicale Massimo Bordin – è ancora vivo, ciò che sarebbe invece necessario per costruire tale futuro è un lavoro collettivo di aggiornamento esplicito delle analisi su cui si è basata, per mezzo secolo, l’azione politica dei radicali. Infatti, nei sessant’anni che ci separano dal 1956, sia il mondo che l’Italia sono cambiati parecchio. E del resto, questi problemi di aggiornamento analitico riguardano ormai tutte le forze politiche storicamente attive nel dopo Seconda Guerra mondiale.
Nella due giorni di via di Torre Argentina, però, una sola voce ha affrontato esplicitamente questa esigenza: quella di Roberto Cicciomessere. Il quale ha avuto il coraggio di revocare in dubbio l’attualità di un’architrave del pensiero pannelliano: il concetto di partitocrazia. Prendiamolo come un inizio.
@Fernando_Liuzzi