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I capitali liberalizzati “nuotano” sotto il mare

Ripenso a un paper recente del Fmi dove si indica l’effetto diretto della liberalizzazione dei capitali sull’aumento della disuguaglianza globale mentre ne leggo un altro, stavolta della Bce dal titolo suggestivo: Cables, Sharks and Servers – Technology and the Geography of the Foreign Exchange Market. E improvvisamente capisco che le due cose sono intimamente collegate. La liberalizzazione dei conti capitali di molti paesi, che significa che i loro residenti possono far fluire dove vogliono i propri denari, sarebbe stata di sicuro meno dirompente, e la disuguaglianza altresì, se i paesi non avessero potuto godere di una storica rivoluzione tecnologica che però sarebbe stata inutile se non ci fosse stata un’infrastruttura capace di supportarla.

Mi rendo conto che è ovvio, così come mi accorgo che però è un’evidenza alquanto trascurata. Tutto oggi dicono che la disuguaglianza è esplosa anche per la liberalizzazione dei capitali, ma pochi notano quanto la tecnologia abbia pesato in questo processo secolare di redistribuzione del reddito e dei patrimoni. E non solo per gli evidenti effetti che può provocare sui posti di lavoro, ma per il semplice fatto che favorisce – facilitandola – quella transumanza di capitali che, per ipotesi del Fmi, è una delle cause dello striminzirsi della labor share.

Sicché decido di immergermi anch’io lungo la rete sottomarina di cavi che già da più un secolo ha iniziato a collegare i paesi consentendo loro – prima alla velocità del telefono, oggi di internet – di scambiarsi dati, quindi informazioni, quindi ordini di acquisto e vendita di prodotti finanziari.

Scopro un’altra evidenza anch’essa però ignorata: “La tecnologia ha importanti implicazioni economiche, riduce le frizioni spaziali fino all’80% e aumenta, in termini netti, la quota di trading offshore del 21%”. E non solo: “La tecnologia ha anche effetti economic importanti per la distribuzione delle transazioni finanziarie nel mercato dei cambi frai vari centro finanziari, facendo crescere la quota del turnover globale nel mercato di Londra, la più grande sede di negoziazione, di quasi un terzo”.

E scopro anche un’altra cosa: “Il mercato dei cambi è stato trasformato sin dal finire degli anni ’80 con l’avvento del broking e del trading elettronici, potendo contare su tecnologie dell’informazione meno costose e più efficienti. Oggi il trading elettronico domina i mercati dei cambi”. La liberalizzazione dei capitali, insomma, ha proceduto impetuosamente sotto gli oceani.

E torniamo a Londra. Sarà pure un caso, ma furono proprio gli inglesi a tendere il primo cavo sottomarino nella metà del XIX secolo.

Un caso di spiazzamento competitivo che ancora paga.

Twitter: @maitre_a_panZer



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