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Come la geologia planetaria studia la Terra

La geologia planetaria si è iniziata a sviluppare con le prime missioni Apollo verso la Luna, che hanno trasformato i pianeti e le loro lune da semplici corpi astronomici a veri e propri oggetti geologici. L’attuale attenzione per la caratterizzazione dei paleoambienti planetari e la ricerca di vita in questi ambienti estremi rafforzano ulteriormente il ruolo della geologia nell’esplorazione planetaria.

La geologia è la scienza che studia l’evoluzione del pianeta Terra e i fenomeni chimici, fisici e biologici che hanno contribuito a determinare l’aspetto attuale del nostro pianeta. Attraverso di essa riusciamo a indagare e comprendere il passato del nostro pianeta e a prevederne la sua evoluzione.

Nel corso dei secoli, la geologia ha portato alla nascita di una serie di discipline molto specialistiche, capaci di fornire un contributo importante alla comprensione del sistema-Terra da tutti i punti di vista, ad esempio, la geochimica, la petrografia, la sedimentologia, la paleontologia e, più recentemente, grazie soprattutto allo sviluppo dell’esplorazione spaziale, della geologia planetaria. Quest’ultima studia i corpi celesti come pianeti, lune, asteroidi, comete e meteoriti.

Nel 1952 il geochimico e premio Nobel Harold Urey pubblicò quello che divenne in seguito il primo testo di riferimento per geologi che si interessavano ai pianeti (non si chiamavano ancora geologi planetari). Il suo testo, intitolato The Planets: their origin and developpement, parlava dell’origine degli oggetti planetari da un punto di vista fisico, chimico e della scienza dei materiali. Circa un decennio più tardi, nei primi anni 60, Eugene Shoemaker introdusse i principi geologici nella cartografia planetaria e creò la sezione di scienze planetarie, attraverso il programma di ricerca di Astrogeologia all’interno del servizio geologico degli Stati Uniti.

Diciannove anni dopo la pubblicazione del libro di Urey, la sonda Mariner 9 fu la prima missione planetaria in orbita attorno a un altro pianeta: Marte. Lanciata nel 1971, Mariner 9 ha funzionato per circa un anno e ha inviato più di 7mila immagini della superficie marziana. Le si devono numerose scoperte, come quella del più grande canyon del sistema solare Valles Marineris – così chiamato in onore della sonda –, e quelle dei grandi vulcani. Ricordiamoci che all’epoca la planetologia, al di là del nostro satellite (la Luna), si limitava essenzialmente a delle osservazioni fatte da telescopio dalla Terra da parte di astronomi. Grazie alle sonde Mariner è cominciata l’esplorazione geologica del sistema solare.

Nel 1972, Mariner 9 aveva scoperto dei canali e delle valli presunte fluviali. Diverse immagini mostrarono sia degli enormi canali fluviali secchi, che suggerivano degli avvenimenti catastrofici come colamenti improvvisi, sia delle valli ramificate che evocavano fenomeni prolungati nel tempo, come ad esempio la persistenza allo stato liquido di grandi quantità di acqua in superficie circa 3,7 miliardi di anni fa. Molte delle interpretazioni fatte attraverso i dati Mariner 9 restano tutt’oggi ancora valide, questi dati avevano acceso l’interesse verso il pianeta rosso, visitato qualche anno più tardi dalle sonde Viking.

Nel 1973 il geologo Robert Sharp, uno dei padri della geologia planetaria, membro del team del Mariner 9, proponeva le prime interpretazioni delle forme di erosione e dei depositi stratificati tipici della superficie di Marte. Quaranta anni più tardi, il rover Curiosity si dirigeva verso la montagna che la Nasa ha ufficiosamente chiamato Mount Sharp, in onore del geologo scomparso.

Curiosity è arrivato su Marte il 6 agosto 2012 dopo 9 mesi di viaggio interplanetario. Rappresenta il più grande rover inviato su Marte. Ha le dimensioni di un’utilitaria media e pesa una tonnellata – di cui 90 kg sono di carico scientifico. È un vero e proprio laboratorio in miniatura con importanti obiettivi tecnico-scientifici e prefigura il primo vero geologo di terreno marziano. La sua strumentazione copre differenti campi di attività di studio che il geologo terrestre svolge in parte sul terreno e in parte in laboratorio.

In questi ultimi mesi abbiamo assistito al flyby su Plutone della sonda New Horizons che ci ha mostrato un volto inedito del pianeta. Le missioni attualmente attive nel sistema solare, e interessanti da un punto di vista geologico, riguardano Mercurio, Marte, Saturno e le sue lune. In modo particolare Marte ha due rover tutt’ora operativi sulla sue superficie (Opportunity e Curiosity) e tre orbiter: Mars Express (ESA), Mars Reconnaissance Orbiter (NASA), MAVEN (NASA). A ottobre di quest’anno arriverà su Marte la missione europea ExoMars – in cui l’Italia è uno dei principali attori – costituita da un rover e un orbiter che si andranno ad aggiungere a quelli già presenti sul pianeta rosso.

Francesco Salese
Geologo planetario presso l’Irsps dell’Università G. D’Annunzio di Pescara, membro del board della sezione di geologia planetaria dell’Italian geological survey. Si occupa di geologia del sedimentario su Terra e Marte attraverso analisi integrata di dati ricavati da immagini orbitali e studi sul campo

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