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Referendum costituzionale, approvare o bocciare?

I referendum costituzionali stanno diventando cosa tutt’altro che rara nel nostro Paese. Nei giorni scorsi il presidente del consiglio Matteo Renzi ha lanciato la campagna referendaria, malgrado ancora non si sa quando si andrà al voto, mentre il fronte del “No” si continua ad arricchire di personalità di spessore. Ci si prepara a quella che sarà una vera battaglia politica e mediatica, che visti i tempi, darà – si spera – a tutti, la possibilità di informarsi al meglio su cosa cambia nel dettato costituzionale. Un modo per decidere in modo consapevole come esprimere la propria preferenza.

SECONDA PARTE DELLA COSTITUZIONE

Come tutti sanno sulla Prima parte della Carta Costituzionale sono tutti d’accordo, perché essa sancisce i diritti e i doveri dei cittadini. Sulla seconda, invece, sembra non sia d’accordo quasi nessuno. Senza entrare nel merito di commissioni bicamerali, proposte di modifiche costituzionali di ogni genere, possiamo tranquillamente affermare però, che in epoca recente, solo nel nuovo millennio siamo già andati due volte alle urne per modificare la Seconda parte della Costituzione, quella che stabilisce l’ordinamento della repubblica. Per i meno informati, quel complesso di articoli (dal 55 al 139) che stabiliscono qual è il sistema istituzionale del nostro Paese e come si svolgono le dinamiche all’interno di tale sistema.

IL TITOLO V

Il 7 ottobre del 2001 siamo andati ai seggi per pronunciarci sulla famosa riforma del Titolo V, quello che doveva dare piena applicazione agli enti territoriali previsti dalla Costituzione. Una delle materie clou del famoso quesito referendario fu l’articolo 117, quello che specifica come vengono ripartite le competenze legislative tra Stato e Regioni. Tema importante, ancor più se si considera il collegamento diretto dell’elettorato con i rappresentanti degli organi locali, ma che non ha particolarmente colpito gli italiani. Alle urne andarono solo il 34% degli aventi diritto. Tra questi l’intenzione, fortunatamente fu più chiara dell’interesse: il 64,2% si espresse per il “Sì”, il 35,8% per il “No”, la riforma del Titolo V è entrata in vigore.

DEVOLUTION

Nel 2006, siamo stati chiamati nuovamente alle urne per decidere su un unico quesito che di fatto stravolgeva l’assetto istituzionale, ampliando quel concetto di “devoluzione” di alcune competenze verso le autonomie locali, trasformando il Senato in una camera delle autonomie definito dalla stessa riforma Senato federale, rafforzando il potere dell’esecutivo che si trasformava in quello che i media definirono il “premierato forte”. L’attenzione da parte del corpo elettorale fu più elevata, tanto che andò a votare addirittura il 53,8% degli aventi diritto, quasi il 20% in più rispetto a cinque anni prima. A vincere fu il fronte del “No”, che si impose con il 61,6% contro il 38,4% dei “Sì”. Giovanni Sartori, all’epoca, dalle colonne del Corriere della Sera spiegò chiaramente che era assurdo proporre ai cittadini un solo voto, un semplice “Sì” o un “No” per decidere su 50 articoli della Costituzione cambiati.

DDL RENZI-BOSCHI

Cosa analoga rischia di riproporsi in autunno. Ma come si fa ad esprimere un singolo “Sì” o un solo “No” per una riforma che conta la revisione di ben 46 articoli della nostra Costituzione? Difficile dirlo. Quel che è certo è che si poteva pensare, dando davvero potere all’elettorato dunque al popolo, di spezzare la riforma in più quesiti referendari: uno sulla fine del bicameralismo paritario e le rispettive competenze delle due Camere (il tema più scottante), uno sull’abolizione definitiva delle Provincie, uno sull’abolizione del CNEL (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro), uno su come cambia, anche se in minima parte, la composizione e le competenze della Corte Costituzionale e così via. Perché come sempre avviene quando si scrivono grandi riforme come questa, alla fine ci sono cose giuste e sacrosante, altre di dubbia efficacia e applicabilità. E per chi non ha seguito l’iter, non mastica un minimo competenze di diritto costituzionale o non ha bene in mente le consuetudini intrinseche nel sistema politico italiano, decidere con un solo “Sì” o con un solo “No”, diventa cosa complicata.

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