Sono contento per Urbano Cairo. Non posso dire di essere un suo amico, però lo conosco bene da tanti anni, lo stimo, penso sia un eccellente imprenditore e abbia fatto un gran lavoro salvando e rilanciando La7. E’ interesse di tutti che un personaggio come lui continui a giocare un ruolo nel nostro sfiatato capitalismo. E per fortuna sarà così, ora che i cosiddetti poteri forti gli impediranno di prendere il controllo di Rizzoli-Corriere della Sera (Rcs). Se invece il suo progetto di Ops fosse andato a buon fine e gli avesse permesso di entrare da padrone, o quantomeno da principale azionista, in via Solferino, allora avrebbe corso un altissimo rischio. Quell’azienda, la Rcs, ha conti economici scoraggianti, è priva di una strategia industriale, è stata messa all’angolo dalla concorrenza che, con la fusione Repubblica-La Stampa, le ha soffiato la storica leadership nel settore dei quotidiani. Insomma è conciata malissimo e persino uno tosto e svelto come Cairo avrebbe finito per impantanarsi. Anche perché, sia detto per inciso e (quasi) per scherzo, quel gruppo ha un altro problema: storicamente, da Rizzoli in poi, il Corriere della Sera sembra abbia portato male a chi se ne è occupato. Meglio starne alla larga, meglio lasciare che lor signori scesi altezzosamente in campo si pelino quella gatta.
Già, lor signori. Chi sono quelli che hanno organizzato l’Opa per prendere il controllo del Corriere sottraendolo a Cairo. Ecco: Mediobanca, Della Valle, Pirelli e Unipol. Sono nomi che vi dicono qualcosa? Esatto, sono proprio loro, gli stessi che sono già azionisti da anni di Rcs assieme ad altri blasonati compagni di cordata e hanno gestito finora il gruppo. Con quali risultati? Ecco: in dieci anni sono riusciti a perdere 1300 milioni di euro, hanno bruciato aumenti di capitale per 450 milioni, hanno venduto la sede del giornale, i libri, gran parte dei periodici, le radio, Igp Decaux, Dada, la francese Flammarion, e malgrado questo hanno chiuso il primo trimestre del 2016 con un rosso di altri 22 milioni. Con queste credenziali si candidano a continuare a gestire Rcs assieme al nuovo compagno di squadra, il finanziere Andrea Bonomi con il suo fondo Investindustrial, già protagonista di varie operazioni di rilievo, ma non tutte fortunate.
Che vantaggi sperano di ottenere questi signori dall’operazione appena annunciata? Nessuno di loro è o è mai stato un editore, ma tutti e cinque sanno che il Corriere, anche se non ha più lo smalto di un tempo, resta un importante opinion maker, tuttora ambìto e ascoltato. Quindi potrà garantire qualche carineria mediatica, utile a Bonomi per i suoi attuali e futuri impegni, a Diego Della Valle per i suoi nebulosi pruriti politici, a Marco Tronchetti Provera (che non ha riscosso troppi successi in Telecom e ha venduto Pirelli ai cinesi) per poter ancora attrarre qualche flash dei fotografi, ironizza qualcuno a Milano. Più ancora servirà a Unipol e Mediobanca. La compagnia di assicurazioni da poco più di un anno ha rilevato un’agonizzante Fondiaria Sai, senza averne il respiro finanziario e le capacità manageriali. Secondo molti sarà la prossima grande crisi che il sistema Italia dovrà affrontare. La regia del salvataggio sarà sicuramente affidata a Mediobanca, che con l’Opa Rcs si è riconfermata al centro dei giochi di potere nazionali. Il Corriere servirà alla bisogna.
C’e ancora un altro che avrà qualche convenienza dall’ingresso del quintetto in via Solferino. Sì è proprio lui, quello che sta a Palazzo Chigi. L’informazione de La7 è una delle poche voci a non essersi sintonizzata con Matteo Renzi e compagnia. E’ chiaro che un Corriere in mano a Cairo e magari con un direttore come Enrico Mentana, qualche dispiacere avrebbe potuto procurarlo. Una voce autorevole può essere fastidiosa, se diventa critica in vista di importanti scadenze referendarie ed elettorali. Con i cinque signorotti al comando invece, il Corriere non sarà effervescente, ma non sarà fonte di grattacapi. E questo è lo scopo di tutto.