Skip to main content

Perché Enel e Telecom Italia si contendono Metroweb

Flavio Cattaneo

Seconda parte dell’analisi dell’editorialista Guido Salerno Aletta; la prima parte si può leggere qui

Di recente, c’è un’unica preda ambita sul mercato, per quanto indigesta per la Cassa: Metroweb, il cui futuro stand-alone non avrebbe prospettive. Dopo Telecom, che ha offerto 820 milioni per rilevarla, anche Enel-Open Fiber avrebbe effettuato una offerta analoga. Telecom Italia sembra intenzionata ad acquistarla per togliere di mezzo l’unico operatore di rete contendibile, che può essere usato o come aggregatore in una operazione di sistema, ovvero da un nuovo entrante come Enel-Open Fiber. In questo ultimo caso, l’acquisizione darebbe consistenza immediata al progetto, su cui potrebbero convergere i competitor di Telecom.

Per quanto riguarda le relazioni tra la Cassa e Telecom, si è parlato di uno scambio tra il 100% di Metroweb ed il 100% di Sparkle, il nome moderno della vecchia e potentissima Italcable. Ma è una ipotesi che non sta in piedi, per mille ragioni: Telecom si accollerebbe una società che ha come patrimonio una rete sostanzialmente analoga alla propria, un debito consistente e la necessità di fare investimenti per svilupparsi. L’acquisto sarebbe un sacrificio giustificabile solo con l’obiettivo strategico di sottrarre una preda alla concorrenza. Cedere completamente Sparkle toglierebbe invece a Telecom l’unico asset che ancora le dà un respiro internazionale, e per il quale si mossero gli americani di AT&T anni fa, quando fu tentata la acquisizione insieme a Carlos Slim, prevalentemente interessato agli asset latinoamericani. Al più, Telecom potrebbe cedere una quota minoritaria di Sparkle, ma sarebbe una soluzione finanziaria che non inciderebbe sugli altri profili all’attenzione del Governo, che considera questo asset strategico per la sicurezza nazionale. Se così fosse, ed è comprensibile che lo sia, questo problema andrebbe risolto in quanto tale: dovevano essere apprestate cautele idonee già da tempo. La verità è che, venuti meno i monopoli pubblici, la Cassa aiuta il Tesoro come può, e si barcamena con partecipazioni e soluzioni organizzative in continua evoluzione. Il Fondo Strategico Italiano, ad esempio, si è trasformato recentemente in CDP Equity, per mettere in cassaforte le imprese considerate particolarmente rilevanti per fini pubblici, ponendo sotto lo stesso cappello Saipem, Metroweb, Sia ed Ansaldo Energia. Rimane fuori Snam, così come la partecipazione in Terna, dimostrando che una matrice organizzativa ed industriale che consideri unitariamente le infrastrutture di rete è recessiva rispetto ad altre priorità.

Sia nel caso di un’acquisizione di Metroweb da parte di Telecom, sia da parte di Enel, ci sono rilevanti questioni antitrust: nel primo, è già stato sottolineata la necessità di verificare che non comporti il rafforzamento della posizione dominante in essere nel settore delle infrastrutture; nel secondo, andrebbe verificato se il costo dell’operazione non venga indirettamente accollato agli utenti della fornitura elettrica. Ci potrebbe essere un sussidio incrociato, visto l’ingresso in un mercato effettivamente liberalizzato e fortemente concorrenziale, quale è quello delle telecomunicazioni, da parte di un soggetto che beneficia ancora di una posizione dominante nel mercato della fornitura elettrica domestica. La liberalizzazione è solo sulla carta, vista la grande quantità di clienti che usufruiscono ancora delle condizioni di “maggior tutela”.

Il governo, da parte sua, ha portato alla approvazione del Cipe un piano a sostegno della realizzazione delle infrastrutture di rete a banda ultra larga nelle aree a fallimento di mercato, con una dotazione di 3 miliardi di euro: è un investimento importante per il futuro del Paese. Si costruirà una infrastruttura nuova, trascurando quella, già esistente, universale e sottoutilizzata, rappresentata dalla rete di illuminazione pubblica. Con una sola operazione si potrebbe ridurre il consumo energetico usando lampade a led, portare la fibra ottica dappertutto, predisporre un sistema per la ricarica delle auto elettriche e magari lo scambio peer to peer di energia. Si darebbe valore una infrastruttura che non è neppure censita nel conto del patrimonio: è un classico caso di “strained asset”, attivo sommerso. Quando si liberalizzarono le telecomunicazioni, furono subito utilizzate le reti delle Ferrovie, delle Poste, della Snam e dell’Enel, prima asservite alle sole funzioni aziendali. E tutti ne beneficiarono.

L’Italia è sicuramente in ritardo sulla banda ultra larga, ma sarebbe meglio se guardasse al futuro e rimeditasse il passato. Discutiamo di Metroweb e consoliamoci con l’aglietto.

(2.fine)


×

Iscriviti alla newsletter