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La ricerca della felicità. Anche per i burocrati

Matteo Renzi

Ricordate qualche mese fa gli sberleffi dei giornali alla notizia che Matteo Renzi avesse reclutato un guru danese per fare formazione ai suoi dirigenti nella Presidenza del Consiglio? Coro unanime di sbertucciamenti quando si venne a sapere che il tema della formazione era la felicità. Proprio così: la felicità. Ma come? Quei dinosauri paperoni che fanno un corso sulla felicità sulla pelle dei contribuenti? Che c’azzecca col lavorare per lo Stato?

Eppure la felicità o, meglio, la ricerca della felicità, come hanno scritto i Padri Fondatori degli Stati Uniti d’America, dovrebbe interessare anche quei burocrati che tanto stanno sulle scatole ai cittadini, i quali, a loro volta, attendono che gli effetti della riforma Madia rompano finalmente le uova nel paniere a fannulloni e mezzemaniche. Anche (e proprio) ora che i decreti attuativi della riforma sono a buon punto, ci si dimentica, però, che leggi e decreti danno solo un quadro di riferimento: saranno poi le persone – dirigenti in testa – a dare sostanza e gambe alle norme. E non basta, perché, allo stesso tempo, riforma dopo riforma, ci si continua a lamentare sempre di una ed una cosa sola: il sistema è troppo ossificato, non c’è speranza, si cambia tutto per non cambiar nulla.

Il “sistema” è tale che la burocrazia – ce lo raccontano da Max Weber in poi – tende solo ad autoconservarsi, rifiutando il cambiamento e mirando alla coltivazione di piccoli e grandi privilegi. C’è molto di vero in questo, ma non sono così pessimista: scontiamo grandi, grandissimi problemi nelle nostre amministrazioni, ma possiamo anche contare su donne e uomini che nel loro lavoro credono e che hanno voluto porsi al servizio della comunità. Tuttavia, spesso ci si scontra con stanchezza, disaffezione, estraniamento che minano alle fondamenta gli ingranaggi della macchina pubblica. In realtà non c’è nulla di strano: nel puntare tutto sul formalismo, politica e burocrazia hanno messo in fondo al cassetto l’elemento umano.

Tutta la parte emozionale, di relazione, di motivazione, che muove ogni aspetto della nostra vita quotidiana, per la vita in grisaglia è stata accantonata per lasciar posto a un groviglio intricato di norme e regolamenti che sono aridi come il deserto. Negli uffici pubblici – così come, molto spesso, nelle grandi organizzazioni complesse del settore privato – ci si comporta come se le ore di lavoro siano qualcosa di estraneo e scollegato dalla vita di tutti i giorni, con un incomprensibile sdoppiamento fra burocrate e cittadino, nuovi Dr. Jekyll e Mr. Hyde.

Abbiamo dimenticato, in sostanza, che quella benedetta ricerca della felicità è parte integrante della vita di ciascuno e non c’è da meravigliarsi che Matteo Renzi ne abbia voluto fare materia di training per i suoi dirigenti. O la Costituzione prescrive burocrati infelici? E poi, cos’è la felicità? Tante cose, naturalmente, ma fondamentalmente è crescita, evoluzione, sfida, mettersi in gioco: l’esatto contrario della stagnazione, proprio il cancro che rode la burocrazia. D’altronde, se il sistema è resiliente ed è capace di digerire pressoché ogni cosa, l’unica cosa che può scalfire il Golem è l’iniziativa personale, quell’iniziativa che nelle burocrazie viene soffocata e, persino, scoraggiata. Occorre uscire dal clima di deresponsabilizzazione di cui il burocrate è vittima: non ci penserà qualcun altro a risolvere quel tal problema, dobbiamo ficcarcelo in testa. Per parafrasare un grande Presidente americano, non chiedere cosa può fare il tuo Ministero o il tuo Comune per te, ma cosa puoi fare tu, in prima persona, per la tua organizzazione. La rivoluzione nella P.A. si può e si deve fare, ma non saranno (solo) le leggi a farla: partirà dalla consapevolezza che ciascuno può fare la differenza, attraverso quei piccoli grandi cambiamenti quotidiani che inducono trasformazioni nelle prassi, nei comportamenti e nelle teste. Se tra una riforma e l’altra politici e burocrati faranno leva su quello che desidera davvero chi lavora nelle amministrazioni pubbliche e creeranno le condizioni perché ciascuno possa sentirsi parte di una squadra allora sarà il passo decisivo per il cambiamento. Finché saremo ancorati al tornellismo, resteremo alieni ad ogni vera metamorfosi e, di fatto, alienati. La felicità c’è anche in un Ministero: basta cercarla.

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