Qualcuno l’ha chiamata l’Austria Psycho Night”. Solo alle ore 17 di ieri è arrivato l’annuncio ufficiale. Il nuovo capo di Stato austriaco si chiama Alexander Van der Bellen. Ha vinto il 72enne professore di economia di dichiarata fede europeista contro il 45enne nazional populista Norbert Hofer. Van der Bellen ha vinto per un soffio, 50,3 contro 49,7 per cento, che tradotto significa uno scarto di appena 31 mila voti. Una vittoria talmente risicata che a Innsbruck, per essere sicuri e non lasciare adito a sospetti di brogli, le schede arrivate per posta sono state contate una seconda volta. Da qui anche la situazione paradossale per chi seguiva la rete nazionale austriaca. Mentre i mass media sui siti annunciavano già alle ore 16 la vittoria di Van der Bellen e Hofer stesso su facebook annunciava la propria sconfitta, il canale pubblico austriaco Orf continuava ad aspettare il ministro dell’Interno Wolfgang Sobotka con il risultato.
L’Europa intera ha tirato un respiro di sollievo, anche se non c’è nulla di cui rallegrarsi. Già domenica sera, quando ancora si sapevano solo i risultati delle urne, ma non si era ancora passati allo spoglio delle 700mila schede mandate per posta, c’era chi tra i commentatori constatava: “Chiunque vinca una cosa è certa: l’Austria ha il partito nazionalpopulista più forte in Europa”.
Non solo. Questo appuntamento elettorale ha messo a nudo una società divisa esattamente a metà. Una frattura – i politologi ieri si rifiutavano di usare la parola spaccatura – da imputare in primo luogo a un immobilismo del panorama politico che per gli austriaci è ormai asfissiante.
Come spiegava, infatti, il politologo Anton Pelinka, mentre sul piano politico la società austriaca è cambiata profondamente, i due grandi partiti hanno fatto finta di non vedere. Per quasi un secolo rossi e neri, così vengono da sempre chiamati, hanno dominato la politica del paese. Nella prima Repubblica, sorta sulle ceneri dell’impero asburgico, su opposte barricate durante la guerra civile del febbraio del 1934. Poi, dopo la fine della seconda guerra mondiale, hanno deciso di puntare al compromesso politico, spartendosi e distribuendo tra i compagni di partito, cariche e posti nelle istituzioni, nell’amministrazione pubblica, nell’istruzione, nella sanità e via dicendo. Un sistema che si è cristallizzato, nonostante il paese andasse avanti, nonostante in questi ultimi anni i segnali inequivocabili di una crescente disaffezione verso una classe politica incapace di farsi interprete di una società e un mondo circostante profondamente cambiati dalla globalizzazione.
Domenica sera, quando sembrava che Hofer stesse vincendo, una giornalista del settimanale News commentava: “Pensavamo di essere il paese di Conchita Wurst. Ci siamo sbagliati”. Ma anche ora che ha vinto Van der Bellen, il paese non si può identificare con la cantante transsessuale che tre anni fa vinse l’European Song Contest.
Ma un cambiamento comunque, e profondo, c’è stato. Il paese non è più diviso tra rossi (Spö) e neri (Övp) sottolineava Pelinka. Oggi si divide tra i vincitori della globalizzazione e i perdenti. I primi sono per la maggior parte nelle città, hanno un livello medio di istruzione più alto, sono la “Schickeria”, come li ha definiti Hofer, e hanno votato per Van der Bellen. Gli altri vivono nelle campagne, nelle valli, non è che non abbiano approfittato della globalizzazione, l’Austria vive di turismo, ma vogliono che la loro repubblica alpina resti come sospeso nel tempo. Sono quelli che hanno votato Hofer. Si dice che l’est dell’Austria sia blu il colore dei nazional populisti (Fpö), l’ovest verde (Van der Bellen è stato il leader dei Verdi).
Si dice che il paese si sia diviso sui profughi. Ma i profughi sono stati solo la goccia che ha fatto traboccare un vaso, già pieno di risentimenti, malcontenti, frustrazioni. Fino a qualche anno fa il tasso di disoccupazione in Austria era tra i più bassi in Europa, ora viaggia attorno al 6 per cento ed è in crescita. C’è un problema di caro affitti, di pensioni sempre più risicate e una popolazione che invecchia tanto quanto nel resto dell’Europa occidentale. Problemi sui quali i due partiti al governo non hanno fatto altro che litigare, senza avanzare soluzioni. Poi entrambi si sono buttati chi prima, Övp, chi dopo, Spö sulla questione profughi nella speranza che la soluzione più semplice, quella di chiudere le frontiere, potesse arrestare il malcontento popolare.
“Non c’è alcun motivo di gioire” titolava il quotidiano conservatore Die Presse. “Questa non è stata né una vittoria dei Verdi e né la fine della marcia vittoriosa dei blu. Chi non tiene conto di questo, commette un grave errore”. Anche il presidente della Banca d’Austria Claus Raidl ieri ammoniva: “Non c’è nulla di cui essere contenti. Il compito di Van de Bellen è ora quello di aiutare a superare questa divisione. L’esito di queste elezioni è da imputare alla frustrazione, all’immobilismo del governo”. Dello stesso avviso è anche Hannes Androsch ex politico dell’Spd e oggi imprenditore. “Anche l’industria, l’agricoltura, il turismo si aspettano finalmente un governo propositivo. Questa è l’ultima grande chance per i due partiti di coalizione”. Van der Bellen stesso ieri, durante il suo primo discorso ha voluto sottolineare che la metà che non l’ha votato è per lui importante tanto quanto chi l’ha votato.
L’Austria dunque ha un nuovo presidente, ma la partita vera è appena iniziata. Il capo della Fpö Heinz-Christian Strache ieri consolava i suoi dicendo: “Non ce l’abbiamo fatta questa volta, ce la faremo tra due anni”. Solo che proprio Strache, che da sempre sogna di guidare un giorno il paese potrebbe aver “creato” con Hofer il suo più temibile concorrente per le politiche del 2018.
Resta ancora una considerazione positiva da fare, e che il quotidiano progressista Der Standard riassumeva così: “Il primo turno presidenziali ha portato un nuovo cancelliere, il ballottaggio per la prima volta un politico Verde a ricoprire la massima carica dello stato. E se le parole del nuovo capo dell’Spö nonché cancelliere Christian Kern, e del suo vice, il capo dei popolari Reinhold Metterlehner ‘la politica ha capito la lezione’ verranno anche tradotte in fatti, allora si può dire che qualcosa comunque ancora si muove”.