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Banche, fisco, politica industriale, riforma costituzionale. Le priorità di Vincenzo Boccia

VINCENZO BOCCIA CONFINDUSTRIA

Pubblichiamo alcuni estratti della relazione tenuta dal nuovo presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, nel corso dell’assemblea annuale della confederazione degli industriali tenuta oggi. Qui il testo integrale.

RISALITA, NON RIPRESA

La nostra economia è senza dubbio ripartita. Ma non è in “ripresa”. È una risalita modesta, deludente, che non ci riporterà in tempi brevi ai livelli pre-recessione. Le conseguenze della doppia caduta della domanda e delle attività produttive sono ancora molto profonde. Per risalire la china dobbiamo attrezzarci al nuovo paradigma economico. Noi imprenditori dobbiamo costruire un capitalismo moderno fatto di mercato, di apertura ai capitali e di investimenti nell’industria del futuro.

BASTA IMPRESE BANCOCENTRICHE

Prima di chiedere agli altri, però, dobbiamo iniziare a indicare ciò che spetta a noi. Il nuovo contesto impone un salto culturale, un nuovo stile imprenditoriale. È una necessità di cui noi imprenditori per primi siamo consapevoli. Dobbiamo innovare i modelli di finanziamento e di governance. Il nostro obiettivo come imprenditori è raccogliere capitale adeguato ai piani di crescita industriale: più capitale di rischio, meno capitale di debito. Le imprese devono utilizzare strumenti finanziari alternativi e diventare meno “bancocentriche”. Tutte le imprese: grandi, medie, piccole. L’ingresso di un fondo di private equity nel nostro capitale è un’opportunità, non va guardato con timore.

CORTESI INVITI AI BANCHIERI

Alle banche, però, vogliamo strappare una promessa. Quella di tornare dentro le imprese, a parlare con noi imprenditori. Nei nostri capannoni, non nei vostri uffici. Dovete vedere quello che produciamo, come lo produciamo e con quali persone. Due numeri sono da tenere bene a mente: dal 2000 a oggi la produttività nell’intera economia è salita dell’1% in Italia, contro il 17% dei nostri maggiori partner europei. Nel manifatturiero i distacchi aumentano: +17% da noi, +33-34% in Germania e Spagna, +43% nel Regno Unito e +50% in Francia. Il nodo da sciogliere è qui. Consideriamo da sempre lo scambio “salario/produttività” una questione cruciale e crediamo che la contrattazione aziendale sia la sede dove realizzare questo scambio.

LA QUESTIONE CONTRATTUALE

Gli aumenti retributivi devono corrispondere ad aumenti di produttività. Il Contratto Nazionale resta per definire le tutele fondamentali del lavoro e offrire una soluzione a chi non desidera affrontare il negoziato in azienda. Infatti, con i profitti al minimo storico, lo scambio “salario/produttività” è l’unico praticabile. Perciò serve una politica di detassazione e decontribuzione strutturali. Senza tetti di salario e di premio, con lo scopo di incentivare i lavoratori e le imprese più virtuosi. Per questo motivo, avevamo chiesto ai sindacati di riscrivere insieme le regole della contrattazione collettiva. Vi erano tutte le condizioni per farlo e favorire così un processo di decentramento della contrattazione, moderno e ordinato, come sta accadendo in Europa.

LE PROSSIME TAPPE CON I SINDACATI

A malincuore, abbiamo accettato la decisione delle organizzazioni sindacali di arrestare questo processo per dare precedenza ai rinnovi dei contratti collettivi nazionali nel quadro delle vecchie regole, lasciando così ai singoli settori il gravoso compito di provare a inserire elementi di innovazione. Adesso non si può interferire con i rinnovi aperti. Quando riprenderemo il confronto, avremo come bussola lo scambio “salario/produttività” e sarebbe opportuno che le nuove regole fossero scritte dalle Parti Sociali e non dal legislatore.

NESSUNO TOCCHI SCHENGEN

La libera circolazione è, anzitutto, delle persone. Schengen è una conquista di civiltà, rinunciarvi sarebbe imperdonabile. Dobbiamo, dunque, opporci con tutte le nostre forze alla costruzione di muri, che siano fatti di filo spinato o di posti di blocco, che siano fra la Serbia e l’Ungheria oppure fra l’Austria e l’Italia. Chiudere il Brennero è come bloccare un’arteria: causerebbe un infarto. Ricordando che, poco meno di trent’anni fa, noi in Europa i muri li abbattevamo! Non possiamo far soccombere il progetto europeo sotto i colpi di nazionalismi pericolosi e irresponsabili populismi. Abbiamo il dovere di chiederci che cosa abbia resuscitato spinte disgregatrici che pensavamo del tutto sepolte con la fine del Novecento.

BRAVO DRAGHI

La Banca Centrale Europea sta facendo tutto quello che è in suo potere e nel suo mandato per riattivare il circolo virtuoso dell’economia. Da sola non può riuscirci: servono anche i pilastri delle riforme e di politiche di bilancio coordinate, puntando all’unione fiscale. Allo stesso tempo, servono sistemi di condivisione dei rischi per eliminare una volta per tutte i timori di nuove crisi bancarie o dei debiti sovrani. Senza questi sistemi, scoraggeremo gli investitori.

BENE L’ADDIO AL BICAMERALISMO PERFETTO

Confindustria si batte fin dal 2010 per superare il bicameralismo perfetto e riformare il Titolo V della Costituzione. Con soddisfazione, oggi, vediamo che questo traguardo è a portata di mano. La posizione e le conseguenti azioni sul referendum verranno decise nel Consiglio Generale convocato per il 23 giugno. Una democrazia moderna prevede che chi si oppone a una riforma, a un governo o a una misura avanzi proposte alternative subito praticabili e non usi l’opposizione solo per temporeggiare.

COME AGIRE CONTRO L’EVASIONE

Nel segno della legalità è indispensabile il severo contrasto all’evasione. Che non sia, però, far pagare il conto ai soliti noti, bensì cambiare approccio nel rapporto tra fisco e contribuenti, sul quale molto e bene ha inciso la delega fiscale, che adesso deve tradursi in coerenti atteggiamenti dell’Agenzia delle Entrate.

URGE POLITICA INDUSTRIALE

Dobbiamo rilanciare l’Italia valorizzando le nostre capacità di seconda potenza manifatturiera europea, di sesta nazione esportatrice per valore aggiunto. Questa scelta ha un solo nome: politica industriale. Una politica industriale fatta di grandi obiettivi, di “stelle polari”e finalizzata a creare le condizioni per un’industria innovativa, sostenibile e interconnessa. Un’industria capace di incorporare i risultati degli straordinari progressi scientifici all’interno di nuovi prodotti e servizi. Capace di trasformare i vincoli ambientali in opportunità. Capace di sfruttare appieno lo straordinario potenziale di sviluppo legato alle tecnologie digitali. Una politica industriale che gli altri paesi si sono già dati. L’Italia no. La nostra idea è semplice: attenzione ai fattori strutturali della competizione con uno sguardo sul medio-lungo termine, chiarezza nelle priorità, centralità dell’innovazione, valorizzazione del ruolo dell’impresa, uso convergente di tutte le leve dell’intervento pubblico.

LA QUESTIONE ENERGETICA

Il problema dell’energia va affrontato in primo luogo a livello europeo mettendo al centro dell’azione di governo le esigenze del sistema produttivo italiano.
Gli orientamenti in atto sulle politiche energetiche europee non sempre valorizzano il potenziale del nostro Paese, in termini di posizionamento geopolitico e di tutela dei settori manifatturieri. Occorre cambiare rotta, ribadendo l’ambizione dell’Italia di diventare hub internazionale del gas e creando un quadro di regole per il mercato elettrico non distorsivo per gli stati membri. Sul piano nazionale, in coerenza con gli accordi di Parigi sul clima e con gli impegni europei di sostenibilità, dobbiamo lavorare a un progetto per l’efficienza energetica. Nell’interesse di tutti e senza contrapposizione ideologica tra fornitori e utilizzatori di energia.

IL NODO DA SCIOGLIERE DEI PORTI

Gli ottomila chilometri di costa ci impongono di parlare di economia del mare. Il piano strategico della portualità e della logistica è un progresso in termini di razionalizzazione ed efficienza, ma è criticabile sul piano della governance. Bisogna rendere i nostri porti realmente competitivi e in grado di intercettare i nuovi traffici che transiteranno dal raddoppiato Canale di Suez, accogliendo navi sempre più grandi.

COSA (NON) SERVE AL MEZZOGIORNO

La verità è che al Sud non servono politiche straordinarie. Servono politiche più intense ma uguali a quelle necessarie al resto del Paese. Sfruttando con intelligenza e pienamente i fondi strutturali europei, come un volano attorno al quale far ripartire gli investimenti pubblici e privati, come ci ha chiesto nei giorni scorsi la Commissione europea accordandoci la flessibilità.

COME AGIRE SUL FISCO

In primo luogo pensiamo alla ricomposizione delle voci di spesa e di entrata. Manovre di qualità. Politiche a saldo zero, ma non a costo zero. Senza creare nuovo deficit. Chiediamo di spostare il carico fiscale, alleggerendo quello sul lavoro e sulle imprese e aumentando quello sulle cose. Le risorse derivanti dalla revisione delle “tax-expenditures” e dalla diminuzione dell’evasione devono andare all’abbattimento delle aliquote fiscali. Perciò l’evasione va monitorata attentamente. La competizione tra paesi si gioca anche sul fisco. Per questo è ottima la riduzione dell’IRES al 24% a partire dal 2017. Che però non basta. Ricordiamo che l’Italia ha la non invidiabile anomalia dell’elevata imposizione locale sui fattori di produzione. Un’imposizione che da noi, al contrario degli altri paesi, è deducibile solo in minima parte.

CONSIGLI AL GOVERNO

Voci autorevoli hanno suggerito al Governo di ignorare ogni vincolo e di ridurre le imposte, anche in modo consistente, con la legge di stabilità del 2017. Pensiamo che qualsiasi azione in aperta violazione delle regole comunitarie verrebbe sanzionata dai mercati, prima ancora che dall’Europa. Non è ciò di cui abbiamo bisogno.

In ogni caso il consenso europeo a misure di sostegno della domanda va guadagnato, dimostrando maggiore impegno nelle riforme strutturali, a partire da una decisa e accurata riduzione della spesa pubblica.



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