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Ecco la lezione del caso Girone e Latorre

Ci sono voluti più di quattro anni, ma alla fine il marò Salvatore Girone è tornato a casa. Dove già era rientrato, sia pure per urgente bisogno di cure, l’altro fuciliere di Marina trattenuto in India, Massimiliano Latorre.

Tutto è bene quel che continua bene, perché in realtà il braccio di ferro politico-diplomatico va avanti al tribunale arbitrale dell’Aja, chiamato a stabilire se spetti all’Italia o all’India giudicare la controversia. Ma nell’attesa della decisione, che forse arriverà nel 2018, la sofferenza dei due militari e delle loro famiglie è intanto finita. Resta in piedi tutta la cavillosa diatriba su una vicenda tragica e piena di errori politici. A partire da quelli compiuti dal governo Monti, il primo che si trovò a doverla fronteggiare: come rispondere alle accuse delle autorità indiane, mai formulate con un’imputazione in un’aula di tribunale, secondo cui i marò, mentre si trovavano imbarcati in missione anti-pirateria sulla petroliera italiana Enrica Lexie, avrebbero ucciso per sbaglio due pescatori del Kerala, Valentine e Ajeesh Pink. Accadeva in acque internazionali il 15 febbraio 2012. Ma con uno stratagemma la nave italiana fu indotta dalla guardia costiera ad attraccare al porto di Kochi. E qui comincia la brutta avventura, col primo errore “italiano” – aver abboccato alla falsa richiesta d’informazioni – all’origine della storia infinita con i fucilieri di fatto prigionieri presso la nostra ambasciata. E poi l’indecisione in questi quattro anni se battere il pugno sul tavolo con Nuova Delhi o trattare sottobanco. Perfino se dare l’ordine e poi il contrordine ai marò di non rientrare in India, anzi sì, mentre erano “in permesso” in Italia. Sullo sfondo lo spettro di uno Stato come l’India dove vige la pena di morte (“ma non l’applicheremo”, dicevano e si contraddicevano), il risarcimento economico accordato dall’Italia come atto di umanità alle povere famiglie dei pescatori e la versione dei marò, che negavano ogni accusa.

Un gran brutto pasticcio che ora – meglio tardi che mai – prende una piega serena lungo la via maestra di due Paesi in disaccordo: sia la giustizia dell’Aja a decidere il campo delle regole. Le nostre istituzioni hanno compreso che con un atto giuridico forte si poteva risolvere quel che la strada politica aveva fallito. Serva la lezione: quando l’Italia si muove con credibilità e con onore i risultati arrivano. Forse arriverà anche la verità.

(Articolo pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi e tratto dal sito www.federicoguiglia.com)

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