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Perché l’Europa sbaglia (un po’) su banche e titoli di Stato. Parola di Ignazio Visco

Di Ignazio Visco

Pubblichiamo un breve estratto delle Considerazioni finali del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco (qui il testo completo)

Il processo di riforma delineato nel Rapporto prevedeva una graduale cessione di sovranità in campo economico e finanziario e l’affiancamento o la sostituzione di strumenti di intervento nazionali con analoghi istituti sovranazionali. Per le banche si proponeva sia di portare la responsabilità della vigilanza a livello dell’area dell’euro, sia di istituire meccanismi comuni di risoluzione delle crisi e di garanzia dei depositi, che avrebbero trovato un sostegno nei fondi pubblici del meccanismo europeo di stabilità (European Stability Mechanism, ESM).

IL FONDO ESM

Per le finanze pubbliche si proponeva di affiancare all’attuazione delle riforme già approvate (il Six Pack e il Fiscal Compact) passi graduali verso la creazione di un bilancio per l’area dell’euro e l’emissione di debito comune. Gran parte di queste proposte sono state riprese in documenti successivi, per alcuni aspetti con un grado di ambizione minore, fino al Rapporto dei cinque presidenti del giugno 2015. I risultati conseguiti sono importanti ma disomogenei. Le limitazioni alle leve nazionali sono state rapidamente poste in atto; l’introduzione e la piena condivisione degli strumenti sovranazionali segnano invece un ritardo. Anche per gli interventi comuni a sostegno di singoli paesi membri in difficoltà si è scelta la strada di una condivisione dei rischi contenuta. Con l’istituzione dell’ESM è stato superato il tenore restrittivo della clausola di divieto di salvataggio prevista dai Trattati europei che avrebbe impedito qualunque forma di assistenza; tuttavia, la capacità finanziaria del fondo è modesta, sostenuta da garanzie limitate dei paesi membri.

LE RETI DI SICUREZZA

Il nuovo disegno istituzionale e molte delle decisioni che ne sono scaturite sono stati soprattutto indirizzati a ridurre i rischi propri di ciascuno Stato o dei singoli intermediari bancari, anche prescindendo da possibili implicazioni sistemiche. È, questa, una situazione di vulnerabilità: vi è il pericolo non solo che le autorità nazionali ed europee non siano in grado di reagire adeguatamente a shock di ampia portata, ma che abbiano anche difficoltà a evitare effetti di contagio originati da tensioni di carattere circoscritto. Una effettiva riduzione dei rischi complessivi richiede che adeguate reti di sicurezza basate su strumenti sovranazionali affianchino le misure pensate per ridurre fragilità specifiche.

IL RUOLO DELLO STATO

Nel caso del sistema bancario si è pressoché annullata la possibilità di utilizzare risorse pubbliche, nazionali o comuni, come strumento di prevenzione e gestione delle crisi. L’esperienza internazionale mostra che, a fronte di un fallimento del mercato, un intervento pubblico tempestivo può evitare una distruzione di ricchezza, senza necessariamente generare perdite per lo Stato, anzi spesso producendo guadagni. Andrebbero recuperati più ampi margini per interventi di questo tipo, per quanto di natura eccezionale.

TROPPE RIGIDITA’

Inoltre, la posizione assunta dalla Commissione europea in materia di aiuti di Stato esclude l’utilizzo, a fini preventivi e di ordinata gestione delle crisi, degli schemi di assicurazione obbligatoria dei depositi, sebbene tali fondi siano di natura privata, essendo finanziati e autonomamente gestiti dagli intermediari; l’efficace conduzione dei processi di risanamento richiederebbe invece l’utilizzo di tutti gli strumenti a disposizione. Non vi è motivo per considerare come impropri aiuti di stato iniziative che contribuiscono a correggere fallimenti del mercato senza ledere la concorrenza. Un’interpretazione rigida della normativa sugli aiuti di Stato, poco attenta alla stabilità finanziaria, ha anche ostacolato l’ipotesi di istituire una società per la gestione dei crediti deteriorati delle banche italiane.

COSA CHIEDEVA L’ITALIA SUL BAIL-IN

Con la condivisione delle perdite da parte di azionisti e creditori subordinati (burden sharing) e con le misure di salvataggio interno (bail-in), che prevedono il possibile coinvolgimento di altri creditori, si è deciso di proteggere i contribuenti, imponendo invece un costo diretto a risparmiatori e investitori. La nuova normativa costituisce una risposta a vicende occorse in sistemi bancari diversi da quello italiano, direttamente colpiti dalla crisi finanziaria globale e sostenuti da massicci aiuti di stato. Essa è pensata per contrastare, com’è giusto, comportamenti opportunistici delle banche, ma nella sua applicazione va ricercato un equilibrio tra questo obiettivo e quello della stabilità. Diversamente da quanto proposto dalla delegazione italiana nelle sedi ufficiali, non è stato previsto un sufficiente periodo transitorio che consentisse a tutti i soggetti coinvolti di acquisire piena consapevolezza del nuovo regime, né si è esclusa l’applicazione delle norme agli strumenti di debito già collocati, anche al dettaglio.
L’Unione bancaria deve essere completata con gli elementi che erano previsti nel disegno originario.

MANCA UN SOSTEGNO PUBBLICO EUROPEO

Il fondo unico di risoluzione è stato costituito, ma i contributi versati dalle banche, inizialmente suddivisi in comparti nazionali, verranno messi in comune in tempi lunghi; non traspare una chiara determinazione a farne effettivamente uso. Il sistema unico di garanzia dei depositi non è ancora stato definito; la Commissione europea ha recentemente presentato una proposta, anch’essa caratterizzata da un lungo periodo di transizione. Manca in entrambi i casi un sostegno finanziario pubblico europeo, previsto fin dal Rapporto del 2012 e indispensabile per garantire la capacità dell’Unione bancaria di assicurare la stabilità sistemica.

DOSSIER TITOLI DI STATO

Il tema dei requisiti prudenziali sulle esposizioni verso debitori sovrani viene spesso collegato nel dibattito, anche politico, al completamento dell’Unione bancaria, argomentando che bisogna ridurre i rischi prima di poterli condividere. Esso va affrontato senza posizioni preconcette, evitando di prendere decisioni affrettate che potrebbero aggravare i rischi anziché ridurli. Non vi è consenso sulla convenienza complessiva delle diverse opzioni di riforma; per di più, l’esperienza insegna che transizioni originariamente pensate come graduali spesso finiscono per subire repentine accelerazioni imposte dal mercato. In ogni caso, la questione va risolta in modo coordinato a livello globale, nelle sedi istituzionali appropriate.

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