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Ecco il vero dilemma di Silvio Berlusconi su Renzi e referendum

Francia

Nei grafici che presentiamo c’è tutto il malessere del sistema politico italiano. Come in un vecchio film muto, il cambiamento di scenario è evidente. Il giro di boa da un sistema maggioritario a qualcosa di indefinito. Un ibrido che sembra riproporre la confusa stagione spagnola. Con il suo susseguirsi di elezioni. Dopo l’analoga esperienza greca. Con una differenza, tuttavia. Atene era sull’orlo del default. Madrid vive invece una normalità contagiosa, che potrebbe aprire anche a Parigi o a Roma un lungo periodo di instabilità politica.

Logica vorrebbe, infatti, che alla frammentazione del corpo elettorale corrispondesse un sistema proporzionale, per giungere, solo dopo il risultato delle urne, alla formazione di un governo di coalizione. Oppure al ripetersi infinito, come avvenuto in Spagna o in Grecia, della chiamata alla urne. In entrambi i casi un’ipotesi inquietante. La scomparsa dei grandi partiti unita alle difficoltà finanziarie rende entrambi gli scenari del tutto improponibili. Il rischio di una vera e propria implosione diventa, pertanto, probabile.

crisi bipolarismo polillo

Quel passaggio tra le due elezioni – 2008 vs. 2013 – ha determinato la dissoluzione del centro politico: regno fino ad allora presidiato dal cosiddetto “elettore mediano” (gli istogrammi in rosso). Un sistema bipolare può vivere solo se le principali forze politiche cercano di catturare questo strano animale. Che non è identificabile a priori, ma che esiste in natura. In Italia, nel corso della Seconda Repubblica, questa è stata la scommessa principale. Le due coalizioni contrapposte hanno guadagnato l’intera posta, quando hanno saputo intercettare i suoi più leggeri movimenti. Ed alla fine, dato anche il crescente astensionismo, la partita si è giocata per un pugno di voti. Patologia del sistema politico italiano?

Al contrario: il bipolarismo è stato un elemento di modernizzazione. E poco importa se i due grandi contendenti non sono stati in grado di sfruttarne in pieno le grandi potenzialità. Nella cultura anglosassone esso ha rappresentato una pietra miliare non solo nella realtà quotidiana. Con i relativi problemi si sono infatti cimentate da tempo le varie correnti del pensiero sociologico. Nomi prestigiosi: da Hotelling a Nash. L’indicazione fornita è stata sempre univoca. Vince chi riesce ha rappresentare al meglio “l’elettore mediano”. Ossia quello spettro politico che identifica l’elettore comune, non ideologizzato, né, tanto meno, colpito dalla sindrome identitaria. Consapevoli del fatto che la democrazia è governo della maggioranza. E quest’ultima si identifica con la pancia del Paese.

Il meccanismo era tale da attribuire un peso diverso al singolo elettore. L’astensione determinava solo la perdita di un voto. Il passaggio verso le posizioni estreme dell’arco costituzionale idem. Ma il passaggio dal partito di maggioranza relativo allo schieramento opposto, comportava una doppia perdita. Si perdeva il voto in libera uscita. Ne acquistava uno lo schieramento opposto. La differenza, nel confronto relativo, era di due posizioni. Meccanismo che spiega perché bastassero uno spostamento “al margine” per determinare esiti catastrofici. Una maggioranza e quindi un Governo completamente diverso da quello della precedente esperienza.

Tutto ciò rischia di essere un ricordo del passato. Come mostrano chiaramente i risultati elettorali del 2013. Quel centro politico si è completamente frantumato, cedendo al movimento 5 stelle circa il 30 per cento dei voti conquistati nel 2008. Un simile cataclisma si è potuto verificare solo grazie ad un sommovimento di fondo della società italiana ed al nascere di una dialettica completamente diversa dal passato: non più il centro-destra che si contrappone al centro-sinistra. Ma un establishment, colpito al cuore, dal successo di un movimento di protesta contro chi non ha saputo utilizzare le risorse del sistema bipolare per modernizzare l’Italia. Che le colpe non siano solo nazionali è evidente. Basta guardare a ciò che avviene in Europa. Ma questo dato rileva poco. Quelle responsabilità sono indivisibili.

Se la dialettica, non solo italiana, si è trasformata nella contrapposizione tra riformismo e populismo, è evidente che il vecchio centro politico, che ancora interpreta le esigenza dell’elettore mediano, non può avere una doppia rappresentazione politica. Pena l’inevitabile sconfitta. Bisogna dare atto a Matteo Renzi di aver colto con rapidità il senso di queste trasformazioni. La sua linea politica non è più quella del vecchio “centro-sinistra”, come mostra lo scontro all’interno del suo stesso partito, con la componente più tradizionalista. La sua ricerca è stata quella di una nuova sintesi tra il tradizionale “solidarismo” e le istanze dei ceti produttivi. Ed ecco allora che molte scelte dell’attuale governo – si pensi solo al problema delle tasse – non sono altro che la riproposizione di temi che, in passato, rappresentavano il bagaglio culturale del centro-destra. Movimento che esaspera le contraddizioni all’interno del suo stesso partito.

La seconda componente del vecchio centro-politico è invece più incerta. Oscilla tra un rassemblement con le forze populiste di destra o, alternativamente, cerca di dar vita ad un nuovo centro autonomo da contrapporre al partito di Renzi. Roma e Milano, nell’imminente tornata elettorale amministrativa, ne sono la dimostrazione. Finché si tratta di elezioni locali questa doppia visione può ancora sussistere. Ma quando si tratterà di votare per le politiche nazionali, il “cerchiobottismo” diverrà insostenibile. Per quella data, il centro destra dovrà aver deciso se cercare di ricomporre l’equilibrio politico all’interno dell’establishment oppure cedere ad una completa deriva populista, cercando una strana seppur contraddittoria commistione con il movimento 5 stelle. Scelta che già si pone al ballottaggio delle amministrative, con Fratelli d’Italia che voterà per il candidato di questi ultimi.

Problemi del domani? Mica tanto. Il prossimo referendum costituzionale è infatti una data più che ravvicinata. Dal suo esito non dipenderà solo il passaggio ad un sistema monocamerale o la diversa tipologia di rapporti tra centro e periferia. Dipenderà soprattutto la futura legge elettorale -l’Italicum – che potrà essere applicata solo nell’eventualità di una vittoria dei “si”. Se questo non dovesse accadere, infatti, vi si dovrà rimettere mano, con tutte le incognite che derivano dalle fibrillazioni del sistema politico attuale. A loro volta riflesso della sua frammentazione i ben quattro raggruppamenti, come mostrano i dati relativi alle elezioni del 2013. Non tragga in inganno, la scomparsa della componente che faceva capo a Mario Monti. Quello stesso spazio potrebbe, infatti, essere occupato dall’eventuale “modello Roma”.

Il dilemma maggiore è quello di Silvio Berlusconi. Se contribuirà al successo del “no”, per costringere alle dimissioni Matteo Renzi, determinerà il definitivo affossamento del sistema bipolare. La nuova legge elettorale, infatti, non potrà che essere sagomata sull’equilibrio delle forze in campo. Se invece si comporterà diversamente, salverà il bipolarismo, ma contribuirà a consolidare il giovane Premier, consentendogli di presidiare, quasi da solo, l’habitat dell’elettore mediano. Scelta quindi difficile, da compiere. Ma proprio per questo: è bene non perdere tempo e metterci la testa.

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