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Ma la Coalizione sociale di Landini è nata?

Maurizio Landini

Miguel Gotor, esponente di punta della sinistra Pd, continua a tuonare contro il presunto ingresso nella maggioranza di Denis Verdini. Intervistato da Repubblica, ci ha spiegato per l’ennesima volta l’abietto progetto politico di Renzi: “Un asse neocentrista che rompa con la tradizione e la storia del centrosinistra”. Evidentemente Gotor rimpiange i tempi in cui gli alleati dell’Ulivo si chiamavano Antonio Di Pietro, Lamberto Dini, Clemente Mastella, Oliviero Diliberto, Marco Rizzo, Alfonso Pecoraro Scanio. Anche se Kant impazziva di rabbia di fronte a questa possibilità, forse è proprio vero che “De gustibus non disputandum est”.

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Quando la propose diventò rapidamente una bomba mediatica, ma nessuno oggi si sognerebbe di chiedere a Maurizio Landini che fine ha fatto la sua tanto strombazzata “coalizione sociale”. Visto il flop della sua creatura (in verità mai nata), a cui va aggiunto il flop contro il suo nemico storico (Sergio Marchionne), il leader della Fiom ha scelto saggiamente di coltivare obiettivi più realistici, come la conquista della segreteria della Cgil (ci riuscirà, considerata l’assenza o l’inconsistenza di concorrenti di peso nella confederazione di Corso d’Italia). Ma Landini continua ad imperversare nei talk show televisivi (nonostante la sua promessa di non parteciparvi più) senza che un conduttore (vero Floris, vero Giannini?) gli chieda mai conto dei suoi clamorosi insuccessi.

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Da Landini a Grillo, da Berlusconi a Renzi, fino (qualcuno lo ha scritto) a Papa Francesco: “Todos populistas, todos caballeros”. È bene tornare sull’argomento perché resta grande la confusione sotto il cielo. Confermo che per me populismo non è una una parolaccia. Però c’è populismo e populismo. Il popolo dei movimenti populisti era quello dei “piccoli contro i grandi” (in particolare, i contadini del buon tempo antico per i movimenti populisti russi e americani di fine Ottocento e del primo Novecento). Mentre per i movimenti populisti europei odierni sono i disoccupati, gli smarriti, i disorientati, gli impauriti dalle trasformazioni sociali. Inoltre, il populismo “è stato un servitore di molti padroni, progressisti e reazionari”, come lo ha definito il politologo inglese Paul Taggart. Tuttavia, se i nemici del populismo sono le élites al potere e la modernità che schiaccia gli “umili e i semplici” (ricordate l’Uomo qualunque di Guglielmo Giannini?), qualche distinzione va fatta. Ad esempio, con i pentastellati ci troviamo su un pianeta completamente diverso. Il popolo al quale si rivolgono non è il popolo semplice e umile, ma è il popolo sofisticato del web, come hanno acutamente osservato Piergiorgio Corbetta ed Elisabetta Gualmini (“Il partito di Grillo”, il Mulino, 2013). Insomma, il M5S non nasce dallo spaesamento di fronte alla modernità, ma dalla modernità stessa. Analogo discorso si potrebbe fare per i partiti e i movimenti che in Europa si richiamano alla “Nouvelle Droite” di Alain de Benoist. Dunque, una raccomandazione a tutti noi: quando si usano concetti assai sdrucciolevoli e polisemici come quello di populismo, è meglio andarci con i piedi di piombo, e ricorrere a quella “analisi differenziata” dei fenomeni politici e sociali tanto cara ad Antonio Gramsci. Forse ne uscirebbe un ritratto più attendibile delle idee strampalate e demagogiche che sforna senza sosta l’opificio del populismo de’ noantri.



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