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Che succede a Falluja?

Ci sono almeno 50 mila civili stretti tra le strade di Falluja, dice il governo iracheno: si rischia una “catastrofe” scrive il New York Times. Lise Grande, il top funzionario dell’ufficio umanitario delle Nazioni Unite in Iraq, ha detto in un’intervista: “Sono disperatamente preoccupata per quello che sta succedendo ai civili a Falluja”.

LA CRISI DEI CIVILI

A Falluja c’erano 360 milioni di abitanti (dati del 2010, ma non troppo distanti a quelli pre-Isis), ne sono restati un settimo, e chi sta ancora in città vive una situazione paradossale. Molti hanno parenti che combattono tra le linee del Califfato, e tuttavia vorrebbero cercare di fuggire, perché quella che poteva sembrare una speranza contro le vessazioni del vecchio governo di Baghdad, s’è rivelata poi un’occupazione militare brutale anche peggiore. Ma non riescono a scappare, chi poteva l’ha fatto: adesso le strade intorno alla città sono disseminate di mine (lo stesso vale per Raqqa, per Mosul e per le varie controllate dall’Is), ci sono i cecchini del Califfo pronti a far fuoco e le squadracce del regime di Abu Bakr al Baghdadi che battono i perimetri interni. Venir presi mentre si fugge, se non è morte subito è condanna all’esecuzione capitale in piazza, per educare gli altri. Alcuni ce l’hanno fatta in questi giorni, e sono stati soccorsi dall’esercito iracheno, ma si trovano nelle aree meno densamente abitate del sud di al-Nuaimiyah, lasciate indietro dai baghdadisti e liberate dall’esercito. S’è parlato anche dell’uso di scudi umani, per rendere più complicate le operazioni degli iracheni, che sono coadiuvate dall’alto dalle forze della Coalizione a guida americana.

LE FORZE IN CAMPO

La situazione al principale fronte del momento nella lotta allo Stato islamico è delicatissima, non c’è acqua pulita, non c’è cibo, c’è il rischio (anche) di epidemie. L’esercito di Baghdad ha lanciato contro la cittadina, che si trova sessanta chilometri ad est della capitale, una corposa offensiva. Trentamila uomini, che non sono tutti soldati regolari, anzi, il grosso è rappresentato dalle milizie sciite paramilitari: una di queste, la Badr Organization, partito/milizia molto importante in Iraq, ha accompagnato al fronte i giornalisti del Nyt, che hanno parlato con Hadi al-Ameri, il capo dell’organizzazione, il quale ha detto di essere preoccupato per il destino dei civili (c’è molta retorica in queste dichiarazioni). Si tratta di gruppi di combattimento armatissimi e molto settari, spinti e foraggiati dall’Iran. E infatti qualche giorno fa ha fatto la sua classica comparsa sul campo il generale Qassem Suleimani, capo del corpo d’élite dei Guardiani (Quds Force), l’uomo che Teheran usa per tessere le trame politico-militari all’estero. Il rischio è che questi miliziani (che non sono tutti iracheni, ma vengono anche dai paesi vicini, mossi dalla spinta ideologica dell’internazionale sciita promossa dall’Iran) possano trasformare la campagna militare in una vendetta nei confronti dei sunniti. Falluja, culla dell’integralismo islamico-sunnita già ai tempi dell’invasione americana dell’Iraq (quando fu teatro di due sanguinose battaglia) aprì le porte all’Isis già sei mesi prima della proclamazione del Califfato: nel gennaio del 2014 fu la prima città a passare sotto il controllo dei baghdadisti, un luogo abbandonato dal governo, marginalizzato dalle politiche settarie dell’amministrazione di Nouri al Maliki, un covo saturo di ingiustizie e soprusi pronto ad esplodere, e infatti così è stato. Su questo potrebbero basarsi le ritorsioni dei miliziani sciiti, che in quanto a brutalità non sono mai stati secondi a nessuno.

LE OPERAZIONI

Per evitare derive settarie le operazioni sono state affidate lunedì alle unità speciali anti-terrorismo di Baghdad, forze che hanno ricevuto addestramento occidentale, professionalizzate: con loro la polizia (sunnita) di Falluja, che avrà il compito dell’ordine pubblica una volta liberata la città, mentre le milizie, per ora, vengono tenute fuori città, seguendo una pratica già messa in atto a Ramadi, capitale dell’Anbar, la provincia a maggioranza sciita che si estende fino a Siria, Giordania e Arabia Saudita, di cui anche Falluja fa parte. Dal cielo i bombardamenti mirati della Coalizione, che colpiscono con il rischio enormi di “danni collaterali”, espressione tecnica e freddissima per definire le vittime civili.

LA PROPAGANDA

Anche nell’occasione dalla battaglia di Ramadi (era il dicembre 2015), come adesso, il governo di Baghadad cercò di coprire a livello mediatico l’offensiva, che però si portò dietro meno risonanza internazionale perché gli abitanti erano già quasi tutti fuggiti profughi lontano dalla cerchia abitativa: un vantaggio tattico, che aprì la strada ai raid aerei della Coalizione e all’avanzata dei soldati iracheni. Sebbene le vittorie, anche in quel caso cantate molto presto, si portarono dietro uno strascico di combattimenti. I baghdadisti avevano lasciato nella capitale dell’Anbar circa 300 uomini, che ne avevano reso le strade un inferno, ogni passo per gli iracheni era un incubo, con il rischio di finire sopra qualche trappola esplosiva o sotto il fuoco di qualche cecchino: la ripulitura è ancora in corso, dopo mesi. Falluja è in una situazione analoga (i baghdadisti hanno scavato anche dei tunnel per compiere imboscate) solo che le stime parlano di un numero almeno doppio di soldati del Califfato, per alcuni sarebbero almeno 1500, con 50 mila civili intrappolati che congelano ogni genere di iniziativa per entrare in città. Proclami politici di Baghdad a parte, la notizia è che dopo le fasi iniziali della campagna a Falluja è quasi tutto fermo, e anzi le forze governative hanno subito un feroce contrattacco al nord, portato avanti dai baghdadisti con i soliti veicoli esplosivi. La battaglia di Falluja, a cui tutto il mondo sta guardando, si porta dietro anche un’intensa dialettica politica interna in Iraq: i populisti guidati da Moqtada al Sadr stanno manifestando contro il governo, mentre l’esecutivo cerca successi sul campo per rafforzare la propria posizione.

(Foto: Twitter, @IraqiSecurity, profughi da Falluja soccorsi dall’esercito iracheno)

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