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Petróleos e la crisi nera del Venezuela

Di Gustavo Coronel

L’articolo di Gustavo Coronel tratto dall’ultimo numero della rivista Formiche

Nel 1976 il governo di Carlos Andrés Pérez nazionalizzò l’industria petrolifera venezuelana utilizzando un originale modello di impresa matrice, Petróleos de Venezuela, con quattro filiali operatrici integrate che concorrevano tra loro, evitando così la figura del monopolio petrolifero statale. Dal 1976 al 1998 Petróleos de Venezuela superò le aspettative dei venezuelani grazie alla gestione professionale ed essenzialmente apolitica. Aumentò le riserve di petrolio, modernizzò le raffinerie e sviluppò una tecnologia propria, arrivando a essere una delle quattro imprese petrolifere più efficienti al mondo. Petróleos de Venezuela, conosciuta come Pdvsa, si è aperta al mondo acquistando raffinerie in Europa e l’impresa Citgo negli Stati Uniti, con l’obiettivo di garantire un mercato per il suo petrolio.

Hugo Chávez, arrivato al potere nel 1999, ha spinto quella che identificò come una rivoluzione socialista sostenuta dall’esercito. Nonostante la morte di Chávez nel 2013, questo regime politico è ancora al potere. Le insensate politiche petrolifere hanno portato Pdvsa sull’orlo del collasso finanziario, con una leadership inetta e corrotta, senza affidabilità nel settore petrolifero internazionale. La situazione si è poi aggravata a causa della caduta del prezzo del petrolio iniziata nel 2015, ma la cattiva gestione e la distorsione della missione fondamentale dell’impresa restano ancora gli elementi fondamentali del disfacimento

I principali fattori che hanno prodotto questo collasso sono tre. Innanzitutto, il cambiamento della missione: dall’iniziale efficiente ruolo di produttore e venditore di petrolio, Pdvsa è diventata un’impresa di natura sociale, lontana dalle sue attività principali. Oggi, infatti, svolge molteplici ruoli che non hanno relazione con il petrolio, con il risultato che gli impiegati sono aumentati da 35mila nel 1999 a circa 160mila nel 2015. In secondo luogo, le spese sociali dell’impresa hanno provocato un abbassamento degli investimenti e della manutenzione di piattaforme e strumentazione, traducendosi in una riduzione della produzione di circa 500mila barili al giorno dal 1999. Questo calo non permette al Paese di raggiungere la quota di produzione nell’Opec, per cui la rilevanza all’interno dell’organizzazione è calata significativamente. Infine, per controllare politicamente Pdvsa, Hugo Chávez licenziò i migliori 22mila tecnici e manager dell’impresa, sostituendoli con persone politicamente fedeli. I livelli di corruzione in Pdvsa sono incrementati significativamente, dando vita a contratti fraudolenti per miliardi di dollari. Visto l’alto coinvolgimento dei membri del regime, si tratta di una corruzione su cui nessuno indaga in Venezuela. Per trovare azioni di contrasto al malaffare bisogna arrivare negli Stati Uniti, dove alcuni complici di queste attività illecite vengono arrestati. Un esempio è quello dell’ex presidente di Pdvsa, Rafael Ramírez, oggi ambasciatore del regime venezuelano presso le Nazioni Unite e sotto indagine negli Usa.

La cattiva gestione e la corruzione hanno portato Pdvsa a una profonda crisi finanziaria. Oggi gli attivi (circa 100 miliardi di dollari) sono superati dai passivi (circa 150 miliardi di dollari). L’impresa è stata costretta a chiedere prestiti alla Banca centrale del Venezuela per circa 50 miliardi di dollari, necessari al pagamento delle spese nel mercato locale. L’emissione monetaria ha contribuito anche all’aumento dell’inflazione del Paese venezuelano: nel 2016 è di circa il 700%, la più alta del mondo.

Pdvsa ha problemi anche nel pagamento a imprese internazionali che forniscono servizi e strumenti, determinando da un lato la riduzione delle operazioni delle principali imprese del settore, come Schlumberger e Halliburton, e dall’altro l’attivazione di numerose cause arbitrali nei confronti di Pdvsa. La poca credibilità internazionale dell’impresa ha impedito lo sviluppo dell’industria petrolifera nella regione del fiume dell’Orinoco, nonostante la presenza di uno dei giacimenti più grandi del mondo. Considerando che il 96% della valuta in Venezuela proviene dal reddito petrolifero, il collasso dell’esportazione del petrolio ha provocato una critica riduzione della dotazione di dollari necessari all’importazione di alimenti e medicine. Inoltre, il forte controllo del cambio ha condotto alla chiusura di migliaia di imprese e alla paralizzazione della più grande azienda di alimenti – Venezuela Polar – alla quale il governo nega l’accesso alla valuta straniera per le importazioni essenziali.

L’insufficienza di valute straniere ha costretto il regime ad accedere alle riserve internazionali che sono così diminuite del 40%, passando dai 22 miliardi di dollari di gennaio del 2015 ai 13,2 miliardi di dollari di marzo 2016. Secondo i dai forniti da Antonio de la Cruz dell’Interamerican Trends, circa 11 miliardi di dollari sono in oro. Nel 2016 il Paese dovrà affrontare una nuova tranche di pagamenti, dovendo restituire quasi 6 miliardi di dollari ai suoi debitori. Finora la Cina ha prestato al Venezuela circa 60 miliardi di dollari ma, a causa del caos imperante nel Paese, sembra non essere disposta a continuare a farlo.

Alla corruzione e alla cattiva gestione del regime venezuelano si aggiunge anche la crisi mondiale del petrolio, il cui prezzo probabilmente si manterrà sui 40 dollari al barile per il prossimo anno. Si tratta di un prezzo ben sotto la soglia necessaria al Venezuela per coprire il fabbisogno di import. In questo modo, la crisi politica venezuelana è desinata a proseguire. Sono pochi gli analisti che pensano che il regime potrà sopravvivere a quest’anno.

Gustavo Coronel (Geologo, già membro fondatore del Comitato di direzione di Pdvsa)



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