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Papa Francesco, la Turchia e il genocidio armeno

Papa Francesco

La questione non riguarda solo la definizione di genocidio perpetrato dagli Ottomani contro gli Armeni nel corso della Grande Guerra; riguarda anche assetti e proprietà che dopo il Genocidio il governo turco ha confiscato agli armeni in Turchia e che ancora oggi è oggetto di discussione. Francesco va in Armenia a dare un messaggio al mondo rappresentato da Recep Tayyip Erdogan con un viaggio che però rischia di essere controproducente, secondo alcuni osservatori. Questo perché appoggiare le richieste armene tout court significa tarpare le ali al negoziato turco per l’ingresso in Europa e soprattutto esporre la comunità cristiana turca a nuove persecuzioni.

Ricordate? Era il 2006 e don Andrea Santoro, un sacerdote fidei donum (diremmo “Missionario volontario”) in Turchia, venne assassinato nella sua chiesa da un giovane per il quale l’omicidio voleva essere una vendetta per le vignette satiriche su Maometto pubblicate in Danimarca qualche mese prima. E malgrado l’omicidio, di don Santoro, ecco che cosa racconta Wikileaks: nel dicembre 2006 il cablo 06VATICAN256_a annuncia che “anche se non appoggia ufficialmente l’entrata della Turchia nell’Unione europea, la Santa Sede continua a supportare il dialogo e il processo di riforma collegato a questo tema”. Quindi: “Le autorità, incluso il Papa (allora Benedetto XVI, ndr), hanno parlato positivamente in pubblico e privato dell’integrazione europea. Anche se sono critici sulla situazione della libertà religiosa in Turchia, le gerarchie vaticane riconoscono che l’entrata nell’Ue della Turchia offrirà al paese l’opportunità di superare questi problemi”. Appena 24 ore prima Joseph Ratzinger si esprime dicendo di sperare che Ankara: “Sarà un ponte di amicizia e cooperazione fraterna tra Est ed Ovest”.

Insomma, le premesse c’erano tutte. Poi però, con l’arrivo nel 2013 di Papa Francesco le cose sono cambiate. Il 12 aprile 2015 ha definito quello del 1915 un genocidio nel corso della Messa per i fedeli di rito armeno. Lo fa citando Giovanni Paolo II e il catolicos (il capo dei fedeli di rito armeno) Karekin II, i quali nel tardo settembre 2001 parlano anch’essi di genocidio. Ma stavolta la reazione turca si fa puntuta: Erdogan dichiara di “condannare” il Papa e lo invita “a non ripetere più quest’errore”. Eppure l’anno prima Erdogan, pur senza nominare la parola “genocidio”, aveva inviato le sue condoglianze ai parenti delle vittime armene in occasione del 99° anniversario della strage.

Ma dicevamo delle proprietà. Finita la Grande Guerra (nella quale vennero sequestrate chiese e conventi), il governo turco nel 1936 ha ordinato alle Onlus (allora non si usava questo termine) di inviare una lista di tutte le loro proprietà regolarmente accatastate. Poi nel 1974 la giunta militare, durante la crisi di Cipro, ritenne che le proprietà acquisite dalle minoranze dopo il 1936 fossero state ottenute illegalmente e quindi dovessero essere sequestrate da Ankara. Fu così che 1.410 immobili finirono proprietà statale; solo nel 2011 il governo ha deciso di restituire 162 di questi vani.

Poca cosa. E il 21 marzo di quest’anno il governo turco ha approvato una legislazione per l’espropriazione urgente del distretto del Sur nella provincia di Diyarbakir nell’est del Paese. Proprietà che 110 anni fa erano di armeni pacificamente viventi in Turchia e che oggi raccolgono siti Unesco (chiese). In particolare la chiesa apostolica armena di San Giragos, divenuta oggi luogo di ritrovo per armeni e cristiani che disapprovano le poliche di Erdogan.

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