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Vatileaks, come e perché è crollato il castello accusatorio

Vatileaks è finita. Almeno per il momento, fino a quando un’altra fuga di notizie, un altro volume di rivelazioni si abbatterà sulla Santa Sede. Fino ad allora resta la sentenza con cui, oggi 7 luglio, il tribunale vaticano presieduto dal professor Giuseppe Dalla Torre del Tempio di Sanguinetto ha rappresentato un giudizio molto duro nei confronti dell’accusa, che per “difetto di giurisdizione” non avrebbe nemmeno dovuto portare a processo Gianluigi Nuzzi ed Emiliano Fittipaldi. Assolto l’informatico Nicola Maio. Condanna a 10 mesi e pena sospesa per la pierre Francesca Immacolata Chaouqui, 18 mesi senza sospensione della pena a Lucio Angel Vallejo Balda, il monsignore targato Opus Dei e reo confesso che però con questa condanna eviterà di scontare la pena in carcere qualora il Vaticano chiederà all’Italia di prendere in carico il monsignore (i Patti Lateranensi, infatti, prevedono la possibilità da parte vaticana di chiedere al nostro Paese di far eseguire la pena nelle nostre carceri, ma sotto i 3 anni non si sconta neanche un giorno da reclusi).

Crolla così il castello accusatorio del promotore di giustizia (il Pm papale) Gian Piero Milano. Crolla lo stesso senso del processo, dal momento che nessuno è andato in carcere e nessuno avrà ulteriori noie con la giustizia vaticana. Con il difetto di giurisdizione invocato (ed effettivo) sui giornalisti, il Vaticano si toglie dall’impiccio di essere criticato per aver imbastito un processo sulla libertà di stampa (libertà che viene rilevata da Dalla Torre nella lettura della sentenza, ritenendolo un principio tutelato dal “diritto divino”, e cioè dal punto di vista canonico eterno ed immutabile, che nessuno può quindi modificare od ottundere); punisce (ma nemmeno tanto) Balda, che alla fine paga il prezzo più alto ed è stato l’unico ad andare effettivamente in carcere (preventivo) e addirittura crolla il castello accusatorio contro Chaouqui, che da 3 anni e 9 mesi richiesti passa a 10 mesi e pena sospesa.

A questo punto non importa che intervenga o meno la grazia papale (che di fatto non è necessaria), conta osservare i fatti. E i fatti dicono che se sei un giornalista e scrivi un libro sulla base di documenti divulgati da un monsignore spifferone, né tu né lui farete un giorno di carcere. Prepariamoci quindi a Vatileaks 3, 4, 5, 6… e chissà quante altre edizioni, perché tanto è sicuro che questa storia non finirà qui. E Chaouqui, che la notte prima del giudizio ha anche confessato sulla sua pagina Facebook di avere un bell’arsenale di documenti nella cassaforte accanto al letto promettendo di non servirsene, può dormire sonni tranquilli. L’archivio di Cosea, integrale, il rapporto sulla sicurezza dello Stato Vaticano, i report dei conti laici dello Ior, l’analisi degli appalti del Governatorato, lettere e documenti, dossier sulle nunziature vegliano su di lei.

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