Non c’è pace all’Istituto per le Opere di Religione, meglio noto come Ior ed erroneamente ritenuto la Banca vaticana per eccellenza (la banca vera è l’Apsa, Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica, che ha in gestione il cospicuo patrimonio immobiliare della Santa Sede). Non ce n’è perché nei giorni scorsi si sono dimessi due membri del board dell’Istituto e naturalmente questo ritiro rappresenta per molti la possibilità di un cambio di rotta e la nomina di un nuovo board (presidente e cinque consiglieri nominati per un quinquennio salvo sorprese) che dovrà procedere secondo l’idea di Francesco per la trasparenza finanziaria. Un percorso molto lungo, avviato già durante il pontificato di Benedetto XVI (2005-2013) e che ha portato il Vaticano, da anni, a confrontarsi con Moneyval, l’antiriciclaggio europeo. Obiettivo: non essere più considerato un paradiso fiscale.
GLI SFORZI DELLA SANTA SEDE
Nel corso degli anni la Santa Sede ha fatto molto, e questi sforzi si sono intensificati. Ha fondato nel dicembre 2010 l’Aif, l’Autorità di Informazione Finanziaria, che si occupa dell’antiriciclaggio dentro i Sacri Palazzi e che collabora con le autorità antiriciclaggio con cui il Vaticano ha firmato degli accordi di collaborazione. Il Rapporto 2015, per esempio, testimonia: “Nell’ambito dell’intelligence finanziaria, si è intensificata la collaborazione internazionale e c’è stato uno scambio di informazioni in 380 casi (triplicando i 113 registrati nel 2014) con le Unità di Informazione Finanziaria (“UIF”). L’AIF ha, inoltre, stipulato Protocolli d’intesa con le UIF dei seguenti 6 Stati esteri: Albania, Cuba, Lussemburgo, Norvegia, Paraguay e Ungheria (per un totale di 27 Protocolli d’intesa dal 2013)”. E l’Aif deve vigilare su Apsa e Ior. In questo caso, nell’ottobre 2015 sono stati chiusi 4.800 conti, “rapporti non più rispondenti al quadro normativo vaticano vigente e alle politiche adottate dagli enti vigilati”. Già: niente più conti personali o intestati a prestanome, come il mitico conto Fondazione Cardinale Spellman che, secondo il libro Vaticano Spa di Gianluigi Nuzzi, sarebbe stato un conto segreto di Giulio Andreotti.
QUATTRO PRESIDENTI IN 7 ANNI
Insomma, l’impegno è tanto, ma c’è ancora da fare. Che allo Ior le cose non vadano come dovrebbero è dato dal fatto che dal 2009 ad oggi si sono avvicendati quattro presidenti: Angelo Caloia, che ha guidato l’Istituto dal 1989 per un ventennio prendendo le consegne da Paul Marcinkus (poi esiliato in America a Sun City, Arizona, dove è morto nel 2006 da semplice coadiutore di una parrocchia e non da cardinale come a volte qualcuno sostiene), ha lasciato il posto ad Ettore Gotti Tedeschi. Una presidenza breve, la sua, conclusasi con una defenestrazione nel maggio 2012 dopo essere incappato, nel settembre 2010, in un’indagine della Procura di Roma. L’ipotesi era violazione delle norme antiriciclaggio: 23 milioni di euro che, transitando attraverso lo Ior, stavano prendendo la via della Jp Morgan Frankfurt. Un movimento che aveva messo in allarme l’Uif, l’Unità d’Informazione Finanziaria della Banca d’Italia ed attivato i magistrati italiani, dal momento che erano stati omessi i nominativi dei soggetti per conto dei quali venivano disposte le operazioni. Una vicenda dalla quale nel febbraio 2014 Gotti Tedeschi è uscito pulito: l’inchiesta è stata archiviata, escludendo qualsiasi responsabilità dell’economista piacentino.
IL MISTERO GOTTI
E qui la storia s’ingarbuglia. Non è un mistero che Gotti Tedeschi arrivò allo Ior anche con il gradimento dell’allora onnipotente Segretario di Stato vaticano Tarcisio Bertone, allora presidente della Commissione Cardinalizia di Vigilanza dello Ior che sovrintende ai lavori del board e ha il potere di nomina del presidente (anche se formalmente è indicato dal board e poi tocca alla Commissione procedere alla nomina): un gradimento che, però, dopo la vicenda dei 23 milioni (dalla quale, ripetiamo, Gotti è uscito pulito), si mutò nella sua defenestrazione contenuta in un documento firmato dall’allora Segretario del board, il potente Carl Anderson esponente dei Cavalieri di Colombo. I Cavalieri di Colombo sono molto ricchi, fanno molto bene in giro e, soprattutto, non fanno notizia. Ma rappresentano quel mondo americano che per le finanze della Chiesa conta: sono gli americani e i tedeschi i primi finanziatori – in termini di offerte – della Chiesa cristiana cattolica apostolica romana. E Anderson era in buoni rapporti con Bertone.
Ecco allora che, compiuta la defenestrazione, Gotti si è ritirato e attende ancora una forma legittima di scuse per i modi in cui fu licenziato. Ma ha avuto ancora qualcosa da dire sullo Ior: e lo ha fatto, in particolare, nel 2015 parlando con il Catholic Herald, noto magazine cattolico molto seguito nel mondo di lingua anglosassone (di lingua anglosassone, non dimenticatelo). E spiega: sono stato io, su richiesta di Benedetto XVI e insieme al cardinale Attilio Nicora (allora presidente dell’Apsa, poi in seguito dell’Aif) a mettermi in moto per la totale trasparenza finanziaria internazionale della Santa Sede. Ma, dice ancora Gotti, il lavoro è stato molto, molto duro. Il banchiere piacentino, che parlava con l’Herald in risposta ad un articolo del cardinale George Pell, dal 2015 presidente della Segreteria per l’Economia vaticana (una sorta di “Ministero delle Finanze” papali, al quale è stato nominato in virtù della fiducia personale di Francesco) che spiegava come tutti i conti vaticani fossero sotto controllo e addirittura fosse emerso un “tesoretto” fuori bilancio o quasi, Gotti – dicevamo – spiega che tra la fine del 2011 e l’inizio del ’12, proprio quando Moneyval già muoveva i suoi passi in Vaticano, si è pensato di revisionare le norme sull’Aif rendendola un’agenzia sotto il controllo della Segreteria di Stato, di fatto rendendola non più indipendente e legandole le mani. Una marcia indietro incomprensibile, per Gotti. E anche per Moneyval, che lo scrisse in un rapporto successivo. Il piano saltò, ma poi lui venne defenestrato. Motivo? Una proposta di riforma totale del governo dello Ior che, però, sarebbe naufragata. Exit Gotti.
In un certo senso è come se il Papa uscente, avallando una decisione che si ritiene ispirata da Bertone, legasse le mani al suo successore. È vero che il presidente dello Ior non è tenuto alle dimissioni in caso di conclave (lo spoils system vaticano prevede che, morto – o dimessosi – il Papa, decadano tutti i responsabili dei dicasteri della Curia lasciando in piedi solo il Camerlengo e il Decano del collegio cardinalizio a guidare – insieme alle congregazioni dei cardinali provenienti da tutto il mondo – la Santa Sede solo per l’ordinario in attesa che, dopo le votazioni in Cappella Sistina, si elegga il nuovo Papa nella pienezza dei suoi poteri), ma in passato Caloia aveva presentato le sue dimissioni al neoeletto Benedetto XVI in segno di rispetto, vedendosele respingere.
Comunque sia, la decisione della Santa Sede cade su un ginevrino di nazionalità tedesca classe 1958, che nel 2012 è da poco diventato presidente di Blohm & Voss group, la più importante industria cantieristica navale tedesca famosa non solo per le navi civili, ma anche per quelle da guerra. Un mezzo scivolone che il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi, rintuzza così: “Il Blohm & Voss Group non fa più navi, fa solo progettazioni” e comunque il settore delle navi da guerra è stato venduto. Ah, scusate.
Freyberg, che è nobile ed è anche membro dei Cavalieri di Malta, parte parlando di tolleranza zero e indica chiaramente la rotta: trasparenza, trasparenza, trasparenza. Nell’estate 2013 si parla già del sito dell’Istituto, l’anno dopo arriverà il primo bilancio. Sono passi avanti importanti, a Radio Vaticana il presidente annuncia controlli su 19.000 conti: insomma, fa sul serio. Così sul serio che, manco un anno dopo, rassegna le dimissioni e se ne va. E siamo a tre presidenti già “consumati” dall’Istituto, mentre l’assetto della Santa Sede ha iniziato a cambiare molto, molto velocemente per gli standard vaticani. Nel frattempo, peraltro, gli è toccato sostituire brevemente ad interim il direttore generale dello Ior Paolo Cipriani ed il suo vice Massimo Tulli finiti al centro della vicenda del rientro dei 23 milioni che erano costati il posto a Gotti Tedeschi (verranno citati a giudizio nel marzo 2014, dopo l’uscita dalla scena giudiziaria di Gotti). Se ne vanno dopo lo scoppio dello scandalo che vede al centro monsignor Nunzio Scarano, prelato salernitano contabile dell’Apsa finito ai domiciliari a giugno del 2013 per il reato di corruzione. Motivo: il tentativo di rimpatrio dalla svizzera di 20 milioni di euro tramite un jet privato. Il 18 gennaio di quest’anno la V sezione penale del Tribunale di Roma ha chiuso la vicenda: non fu corruzione, ma soltanto calunnia: due anni di carcere con pena sospesa.