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Ecco come il Meeting di CL prova a sfatare i miti sull’immigrazione

“L’invasione che non c’è”. Basta questo titolo apparso sul Quotidiano Meeting per intuire quale sia la linea seguita dagli organizzatori della manifestazione ciellina sul tema del momento: l’immigrazione. Il primo “tu” che diventa “un bene per me” – parafrasando il leit-motiv di questa 37° edizione della kermesse – prende corpo proprio in quell’immigrato, profugo o richiedente asilo che arriva in barcone sulle coste del Mezzogiorno italiano dopo aver solcato a stento il Mediterraneo. Lo esplicita bene la mostra “Migranti, la sfida dell’incontro”, un’immersione nella carne viva di uno dei fenomeni più complessi del nostro tempo, tra statistiche ed esperienza raccontate in un’efficace azione di storytelling, alla quale ha dato un contributo – tra gli altri – anche l’ex presidente della Camera Fausto Bertinotti (qui l’articolo di Formiche.net sul suo avvicinamento a Cl).

FEDELI ALLA LINEA DI FRANCESCO

Non ci sono cedimenti, nemmeno minimi, alla vulgata salviniana, così come non c’è alcun scostamento dalla linea improntata alla misericordia e all’accoglienza di Papa Francesco. Non è un caso quindi se una delle frasi ricorrenti che si sentono ripetere è questa: “I migranti, prima di essere numeri, sono persone, volti, storie”. In apertura della mostra, le parole di Carmine Di Martino, docente di Filosofia teoretica all’Università Statale di Milano e uomo di Cl, ne riassumono l’impostazione: “Gli incontri – scrive – sono l’elemento decisivo di ogni esperienza umana” ed “è nel paragone con la diversità che divento consapevole di ciò che sono. L’identità e i suoi valori si consumano se non sono riscoperti in maniera vitale, cioè se la radice che li ha fatti emergere non viene rivissuta, riconquistata, fatta di nuovo propria”. Giorgio Paolucci, caporedattore di Avvenire e curatore della mostra, al Quotidiano Meeting spiega che “abbiamo scelto la prospettiva indicata da Papa Francesco, cioè quella di guardare ai migranti come persone e non come una categoria o un problema sociale, andando all’incontro con loro”.

TERRORISMO, LE CAUSE SONO ALTROVE

Per confutare la tesi secondo cui il terrorismo (islamico, si intende) sia strettamente connesso agli sbarchi dei profughi e all’aumento dell’immigrazione, la mostra del Meeting sceglie diverse strade. La prima è quella di parlarne solo marginalmente: nelle decine e decine di pannelli che compongono l’esposizione, ce n’è solo uno in cui si cita quella parola. “Gli episodi più recenti mostrano un panorama variegato – si legge nell’esposizione -: tra i protagonisti delle azioni violente troviamo rifugiati politici o richiedenti asilo, ma anche persone nate e cresciute in Europa, talvolta provenienti da famiglie arrivate in seguito a precedenti dinamiche migratorie. Colpisce che si tratti di giovani di seconda o terza generazione che hanno vissuto un processo di radicalizzazione tramite siti dell’estremismo di matrice islamista, o per l’influenza di taluni predicatori delle moschee. E’ evidente la necessità di una più rigorosa azione di di prevenzione e controllo da parte delle forze dell’ordine. Ma non basta. Agire sul versante della sicurezza è insufficiente se non vi è una proposta e un’azione che arrivi al cuore di tutti. L’interrogativo riguarda la capacità della civiltà europea di farsi portatrice di una proposta “attrattiva” rispetto al fascino esercitato dal terrorismo”.

I MIGRANTI? AL 60% SONO CRISTIANI

Una seconda strada intrapresa per sfatare il mito dell’equazione tra gli sbarchi nel Mezzogiorno e l’aumento della delinquenza (fino al terrorismo islamico) è quella del ricorso ai numeri, reso possibile dalla collaborazione con il demografo Giancarlo Blangiardo. Ne sono un esempio i dati snocciolati sui permessi di soggiorno in Italia, oltre la metà dei quali (52%) rilasciati per lavoro, seguiti da motivi familiari (34%) mentre la quota della richiesta di asilo politico che riguarda i profughi in fuga da guerre riguarda solo il 7%. Non bastasse, ci ha pensato Paolucci a sgombrare il campo da equivoci: “Il 60% degli immigrati presenti in Italia è cristiano, mentre i musulmani costituiscono il 30%”. I pannelli lo illustrano con tabelle e grafici: si parla delle nazionalità più presenti (Romania, Albania, Marocco, Cina, Ucraina e Filippine) e delle fedi degli immigrati, con i cristiani che fanno la parte del leone (quota 2,8 milioni) e doppiano i musulmani (1,4 milioni). “L’islam europeo – arriva a scrivere l’egiziano Wael Farouq, docente all’Università Cattolica di Milano e già organizzatore del Meeting del Cairo – è l’unico vaccino che può immunizzare l’Europa contro il virus di questo terrorismo. Oggi invece dettano legge islamisti radicali”.

UN’OPERA DI CONTRO-INFORMAZIONE

Quella messa in atto a Rimini, sembra una sorta di contro-informazione per superare le semplificazioni mediatiche e provare a dimostrare come la paura dell’invasione islamica sia solo uno spauracchio agitato da qualche forza politica di destra (mai mostra del Meeting è parsa così lontana dalle idee di certi leader del centrodestra), e come collegare l’aumento del terrorismo islamico all’aumento dell’immigrazione sia una banalizzazione di un fenomeno molto più complesso. “Solo il 10% dei profughi arriva in Europa”, “il fenomeno migratorio non nasce certo oggi”, “sono più gli stranieri che ogni anno acquisiscono la cittadinanza italiana dei profughi”; sono solo alcune delle frasi che si sentono ripetere o si leggono. Come nei pannelli che cercano di smontare l’accostamento tra immigrazione e delinquenza: “E’ vero che la popolazione delle carceri è costituita da una forte componente straniera: secondo l’Istat sono il 35% del totale, mentre rappresentano solo l’8& della popolazione in Italia” si legge. Tuttavia, “i reati dai quali origina la pena detentiva degli stranieri sono in parte diretta conseguenza delle condizioni di marginalità ed esclusione sociale in cui versano” e “gli stranieri hanno inoltre maggiore probabilità di essere fermati per controlli di sicurezza e nei loro confronti è più facile che venga disposta la misura di custodia cautelare in carcere, rispetto a quella degli arresti domiciliari”. Detto questo, “i reati commessi dagli stranieri sono in media meno gravi di quelli commessi dagli italiani”.
A chi poi dice che gli immigrati svolgono i lavori rifiutati dagli italiani, la mostra del Meeting fa presente come in realtà secondi i dati dell’Inps del 2014 le badanti italiane siano ad esempio aumentate del 14%, e anche il numero delle colf italiane è in aumento, seppure in misura più ridotta.

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