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Assange colluso con la Russia di Putin? L’inchiesta del New York Times

Il New York Times pubblica una lunghissima inchiesta (supportata da un’intervista tramite Facebook Live) su come le rivelazioni fornite da Julian Assange attraverso Wikileaks finiscano spesso per favorire la Russia. In sintesi, il giornale americano sostiene che mentre Assange ha spesso adottato un atteggiamento aggressivo nei confronti degli Stati Uniti, facendone apparire fin dalle prime pubblicazioni del 2010, con i cablo sulla guerra in Afghanistan e in Iraq il carattere prepotente e predominante che incocciava con la narrativa del “Paese delle libertà” – decriptando i cablo “in nome dei diritti umani”, come recita la mission dell’organizzazione –, comportamento simile non è stato adottato con Mosca, che sotto il controllo di Vladimir Putin ha comunque avuto modo di mostrare le facce più atroci del potere. Repressioni delle opposizioni, controllo dei media, mai denunciati da Wikileaks, se si fa eccezione di un’intervista “ironica”, dicono i giornalisti americani, con cui Assange ha parlato della censura russa a Russia Today, ossia uno dei bracci mediatici con cui il Cremlino diffonde la propria propaganda, in lingua inglese; oltretutto Assange ha lavorato conducendo uno show televisivo per l’emittente.

I LEAKS SUI DEMOCRATICI

Ora l’ex programmatore australiano è tornato alla ribalta perché Wikileaks ha pubblicato oltre 20 mila email che hacker, probabilmente russi e diretti dai servizi segreti di Mosca, hanno sottratto dai server del Partito Democratico americano e che secondo quanto rivelato dallo stesso Assange potrebbero portare Donald Trump a vincere contro Hillary Clinton. Che Assange detesta: “demone” la definisce, e dichiara l’intenzione di sfasciare la sua campagna con le pubblicazioni delle comunicazioni riservate ottenute; primo step già raggiunto, le dimissioni della presidente del Comitato democratico Debbie Wesserman, dopo che da alcune mail era uscita una propensione non proprio super partes di varie funzionari di partito verso Clinton, durante il confronto con Bernie Sanders.

LE INFORMAZIONI DAI SERVIZI

Se come emerge dalle informazioni finora raccolte nelle indagini sono stati veramente i russi a sottrarre quel materiale ai democratici, allora, si chiede il Nyt, “Wikileaks è diventata una macchina di riciclaggio di materiale compromettente raccolto da spie russe?”. E più in generale, che rapporto c’è tra Assange e Putin? Una domanda che assume ancora più peso se si inquadra nella generale assertività che la Russia sta dimostrando a proposito delle elezioni presidenziali americane. Non ci sono altre prove, se non quelle circostanziali (Wikileaks pubblica informazioni sottratte probabilmente dalle agenzie di intelligence russe), di questi collegamenti tra Assange e i servizi segreti russi, ma fa notare John Wonderlich, il direttore esecutivo della Sunlight Foundation, un gruppo dedicato alla trasparenza del governo, 

GLI AMERICANI INNERVOSITI

Dal dossier del Nyt il personaggio-Assange viene demolito e ridotto a una sorta di proxy usato dalla Russia per diffondere le proprie strategia. Il tono dell’articolo del New York Times è da “Guerra Fredda” (un esempio, Assange descritto come un’arma russa che agisce contro l’Occidente, come se l’Occidente fosse un blocco unico e all’interno non ci siano stati con posizioni diverse proprio sul rapporto con la Russia) ed è possibile che l’operazione con cui Putin vuole innervosire gli americani abbia fatto centro; il giornale assume spesso posizioni vicine all’operato di Barack Obama, pur restando un tempio del giornalismo globale, e non tralasciando la terzietà quando è necessario (vedi per esempio il durissimo editoriale contro le attività sostenute dalla Casa Bianca in Yemen uscito dieci giorni fa). Possibile che Assange abbia legami con la Russia, d’altronde fu lui stesso a suggerire a un altro paladino della trasparenza e dello smascheramento dei governi, Edward Snowden, di rifugiarsi a Mosca, dove sarebbe stato più al sicuro dalle ritorsioni della Cia (Snowden invece voleva usare la Russia come passo intermedio per poi arrivare in Sud America, ma gli Stati Uniti gli hanno bloccato il visto e ancora lì sta). È possibile anche che durante la sua permanenza forzata nelle due stanze dell’ambasciata dell’Ecuador a Londra dove vive, abbia inasprito le sue interpretazioni anti-occidentali. Oppure è possibile che la sua sia una questione personale aperta contro Hillary, che era segretario di Stato ai tempi del primo grosso set di cablo e che è stata parte del sistema amministrativo che lo ha accusato (anche degli abusi sessuali per cui la Svezia lo ha condannato). Il risultato è stato un “confronto unidimensionale con gli Stati Uniti,” ha detto al Nyt Daniel Domscheit-Berg, che ha mollato Wikileaks nel 2010, ma prima era uno dei più intimi collaboratori di Assange. A beneficiare di questa situazione è stato Putin, scrive il giornale americano, il quale ha più volte criticato l’atteggiamento poco coerente degli Stati Uniti nei confronti di colui che aveva esposto al mondo le malefatte del potere americano: quando Assange fu arrestato dalla polizia inglese, Putin, in conferenza stampa con il presidente francese, citò il detto americano “Colui che vive in una casa di vetro non dovrebbe tirare pietre” per criticare come Washington aveva reagito con durezza alle rivelazioni di Assange.

L’INCLINAZIONE RUSSA DI ASSANGE

Qualsiasi sia il motivo, ci sono una serie di circostanza che rafforzano la tesi del Nyt, ossia l’inclinazione pro-russa di Assange. Il capo di Wikileaks per esempio, ha preso posizioni pro-Mosca nella crisi ucraina, denunciando l’ingerenza americana anti-russa nella vicenda; non si esposto contro il rafforzamento del potere sui media imposto dal Cremlino con una legge di luglio; ha denunciato le azioni turche per far chiudere una rete televisiva pro-curda in Danimarca, come una macchinazione interna alla Nato con cui alla fine l’ex primo ministro Anders Fogh Rasmussen sarebbe arrivato ai vertici dell’Alleanza (storia riciclata da Sputnik, altro media del Cremlino, a giugno, quando Rasmussen è diventato consigliere del presidente ucraino Petro Poroshenko); oppure l’uscita ad orologeria di cablo che dimostravano la volontà saudita di manipolare positivamente l’opinione pubblica globale sul Regno, pubblicati nei giorni in cui Putin accusava Riad di danneggiare l’economia mondiale tenendo bassi i prezzi del petrolio; o il rilascio di documenti sul regime siriano, che secondo Wikileaks sarebbero stati imbarazzanti per la Siria “ma anche per i suoi nemici”, dimostrando come gli Stati Uniti hanno deliberatamente destabilizzato il paese (la Russia è uno dei pochi alleati di Damasco); o ancora, le bozze uscite dal 2013 al 2016 su documenti interni che minavano la Trans-Pacific Partnership, il discusso accordo commerciale tra Usa e Giappone, dal quale Mosca era stata esclusa; o le critiche all’inchiesta giornalistica sui “Panama Papers”, che Assange ha definito su Al Jazeera “un modo per colpire Putin” (visto che una delle principali storie collegate ha per protagonisti soldi girati da un intimo del presidente russo). “Sia che questo accada per convinzione, per convenienza, o per coincidenza, le rivelazioni di documenti da parte di WikiLeaks e molte dichiarazioni di Assange hanno spesso aiutato la Russia a scapito dell’Occidente” scrive il New York Times a conclusione dell’inchiesta, affidando la risposta allo stesso Assange: “Non ci sono prove concrete” sui collegamenti con i servizi segreti russi (anche se sarebbero un’ottima fonte da utilizzare, ammette), è tutta un’isteria creata da Clinton, dice il fondatore di Wikileaks.

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