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Emailgate: altri messaggi, rapporto Fbi, vecchie grane per Hillary

L’Fbi pubblica una sintesi dell’interrogatorio di Hillary Clinton del 2 luglio, che ha condotto all’archiviazione dell’indagine sull’ex segretario di Stato che usò un account di posta elettronica privato, invece di quello ufficiale, quando guidava la diplomazia statunitense, tra il 2009 e il 2013 – il cosiddetto “emailgate” – e non avere, quindi, trattato in modo adeguato informazioni classificate.

L’Fbi, che conclusa l’inchiesta ha deciso per il non luogo a procedere, con l’avallo del Dipartimento della Giustizia, ha anche diffuso una sintesi del dossier. La pubblicazione della documentazione è avvenuta in seguito a diverse istanze, avanzate da organizzazioni conservatrici, in base al Freedom of Information Act (Foia), che regola l’accesso dei cittadini alle informazioni che sono in possesso delle Amministrazioni pubbliche.

L’ “emailgate” è una delle vicende su cui la campagna di Donald Trump punta per screditare l’immagine della Clinton. La pubblicazione del dossier avviene pochi giorni dopo la scoperta d’un’altra serie di mail, circa 15 mila, che l’ex segretario di Stato non aveva consegnato e di cui ora un giudice federale ha ordinato la diffusione a partire da prima del 13 settembre.

Fra il materiale recuperato, vi sarebbero scambi che riguardano la strage di Bengasi, dove, l’11 settembre 2012, furono ucciso l’ambasciate Usa in Libia Chris Stevens e altri quattro cittadini americani, altro tema delicato per l’ex segretario di Stato, nonostante l’indagine d’una commissione del Congresso gestita dall’opposizione repubblicana non abbia portato ad accuse nei suoi confronti. Resta, poi, calda la vicenda dei finanziamenti da governi stranieri alla Fondazione Clinton.

Tutto ciò si riflette nei sondaggi di un’opinione pubblica volatile e sensibile all’input dei media. Secondo il rilevamento Reuters-Ipsos dell’ultima settimana, Trump è oggi al 40 per cento, mentre Hillary ha bruciato gli otto punti di vantaggio che aveva ed è al 39 per cento. Il recupero di Trump è conseguenza dei maggiori consensi del magnate fra gli elettori repubblicani, ma soprattutto della vampata d’attenzione per le grane della Clinton, su cui lo showman salta: a suo giudizio, le nuove carte dell’Fbi confermano la disonestà di Hillary, che dal canto suo plaude – ma non potrebbe fare diversamente – alla diffusione del rapporto e delle nuove carte.

Certo, il documento dell’Fbi non migliora la situazione dell’ex first lady. Rispondendo alle domande dell’Fbi sulle mail di quand’era segretario di Stato, la candidata democratica afferma di non avere avuto alcun ruolo nel selezionare le email “di lavoro” girate al Dipartimento della Giustizia, che sarebbero state scelte dal suo team legale, mentre quelle personali sarebbero state cancellate.

Nel dossier pubblicato ci sono tanti “non ricordo”: “La Clinton non era in grado di fare un esempio su come veniva determinato se un documento era classificato o meno, né sapeva che C significasse “classified” […] La Clinton non era in grado di ricordare alcuna specifica metodologia per scegliere l’obiettivo di un attacco con droni […]”.

L’Fbi, inoltre, ammette che è impossibile stabilire con assoluta certezza se le mail di Hillary siano state hackerate, anche se non ve n’è alcuna evidenza, mentre emerge che un predecessore di Hillary al Dipartimento di Stato, il generale Colin Powell, le raccomandò prudenza nell’uso del Blackberry.

(post tratto dal blog di Giampiero Gramaglia)

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