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Mps, Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Cosa combinano i fondi?

Di Michele Arnese e Federico Fornaro

C’è del vero o anche della fuffa mediatica nell’interesse di alcuni fondi sulle banche venete e su Mps? C’è un reale interesse industriale e finanziario o ci sono soprattutto aspirazioni borsistiche per alzare quotazioni e prezzi? E che ruolo hanno advisor e banche d’affari in questo contesto che agitano da giorni le cronache di Monte dei Paschi di Siena, Veneto Banca e Popolare di Vicenza?

Sono alcune delle domande che circolano tra gli addetti ai lavori. Interrogativi che si acuiscono visto anche l’attivismo di banchieri d’affari che spingono (è il caso di Andrea Bonomi per Mps?) a vagliare dossier come quello dell’istituto guidato dall’amministratore delegato, Fabrizio Viola, alle prese con un piano in via di modifica. Ma andiamo con ordine.

COSA STA SUCCEDENDO

I fondi di private equity, italiani ed esteri, tornano alla carica in ordine sparso sulle banche italiane in difficoltà. E lo fanno dopo avere provato, per ora senza successo, a comprarsi per un tozzo di pane le quattro banche “buone” nate dalle ceneri della Popolare Etruria, Banca Marche, Cariferrara e Carichieti e anche la genovese Carige.

CHI VUOLE GLI ISTITUTI VENETI

Come riferiscono alcuni organi di stampa, i fondi Atlas, Centerbridge, Warburg Pincus e Baupost avrebbero fatto pervenire un’offerta per Popolare di Vicenza e Veneto Banca all’indirizzo di Quaestio, la società di gestione del risparmio presieduta da Alessandro Penati che gestisce il fondo Atlante, azionista praticamente unico dei due istituti controllato dalle maggiori banche italiane, oltre che da Cdp e Poste Italiane. I private equity, sostengono le stesse indiscrezioni, avrebbero messo un miliardo tondo e in contanti sul tavolo per il rilancio delle due ex Popolari del Nordest, con l’obiettivo di arrivare a una fusione. E qui suona il primo campanello di allarme: dai due istituti di credito arrivano forti resistenze a un matrimonio, per quanto sia ormai evidente che Atlante ma anche i vertici della Popolare di Vicenza ci stiano pensando.

DOMANDE CHE ALEGGIANO

Soprattutto, però, c’è un altro aspetto da sottolineare. Questi fondi, tra l’altro fino a oggi poco noti e poco attivi sul mercato italiano, come detto, avrebbero (condizionale d’obbligo perché conferme non ce ne sono) messo sul tavolo un miliardo per entrambe le banche. Ma il problema è che il fondo “di sistema” Atlante, nell’ambito dei due aumenti di capitale che si sono conclusi di recente senza successo e che appunto lo hanno spinto a scendere in campo, di miliardi ne ha scuciti quasi 2,5. Sono numerose le domande che sorgono spontanee: avrebbe senso per il fondo di sistema guidato da Penati vendere per 1 miliardo qualcosa che appena ieri è stato pagato più del doppio? Non conviene tentare di rimettere a posto i conti dei due istituti e cercare di vendere in un momento successivo realizzando un guadagno? Senza contare che c’è poi qualcuno che sostiene che tali indiscrezioni siano fatte circolare ad arte per alimentare la sensazione di un interesse sulle banche italiane, che in questa fase navigano in acque difficili.

DIFFICOLTÀ PERSISTENTI

Certo, la voglia di Atlante di uscire dai due istituti veneti potrebbe essere tale da indurlo a farlo anche in perdita. I conti del primo semestre della Popolare di Vicenza, del resto, con un rosso che ha sfiorato gli 800 milioni, parlano chiaro: la strada per il risanamento è ancora lunga. E Penati si trova a un bivio: continuare a percorrerla o prendere un’altra direzione vendendo ai fondi (ammesso e non concesso naturalmente che l’interesse sia effettivo e che abbiano messo sul piatto un miliardo in contanti)? Sarà importante vedere che cosa Atlante farà. Nel frattempo, si può sottolineare che la situazione dei due istituti veneti è paragonabile a quella delle quattro banche salvate lo scorso autunno: anche in questo caso, alcuni fondi, principalmente americani, sembra abbiano manifestato interesse, ma avrebbero messo sul tavolo troppo poco, al punto che l’asta sarebbe stata riaperta e, per evitare una svendita, si starebbero cercando di convincere alcuni gruppi italiani a prendersi la patata bollente.

LA QUESTIONE MPS

Sì, perché il confine tra quello che desiderano i consulenti che seguono le operazioni bancarie e gli interessi effettivi dei compratori sono cose ben diverse. È evidente dal Monte dei Paschi di Siena: proprio in questi giorni, è stato fatto circolare questo interesse da parte fondi sovrani del Qatar (Qia) e del Kuwait (Kia), ma anche di Andrea Bonomi, patron del fondo con base in Lussemburgo Investindustrial. In realtà, non si tratterebbe di un interesse “diretto” e “spontaneo” da parte di questi soggetti, bensì sarebbero stati i consulenti del piano di salvataggio per la banca senese (in primis Jp Morgan e Mediobanca), che ormai scricchiola, a sondare questi investitori cercando di convincerli, secondo alcune indiscrezioni di Formiche.net. Non a caso, Bonomi avrebbe mostrato una certa freddezza per il dossier senese. Senza contare che la recente, fallimentare, operazione su Rcs condotta proprio insieme con Piazzetta Cuccia non deve avere lasciato un bellissimo ricordo nel finanziere nipote di Anna Bolchini Bonomi.



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