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Canton Ticino, perché il muro contro muro è nefasto

L’esito del voto referendario nel Canton Ticino può sorprendere soltanto chi s’illude che, in tempi di crisi economica, il tema dell’immigrazione non condizioni pesantemente l’opinione pubblica europea, comunitaria e non. Ieri il 58% dei votanti si è di fatto espresso contro l’utilizzo dei circa 62mila italiani transfrontalieri (un quarto circa dell’intera forza lavoro nel Cantone), chiedendo di istituire per legge una corsia preferenziale per i residenti in Svizzera nell’assegnazione dei posti di lavoro. Tutto il mondo è Paese, e gli svizzeri non fanno eccezione. Questa consultazione, promossa dal partito della destra nazionalista, conferma come anche i cittadini tra i più abbienti del Continente siano sempre più disposti a irrobustire col loro voto le ricette populiste. Occorre però chiedersi se proprio in area moderata non vada cercata la colpa dei notevoli dividendi elettorali incassati dalle forze populiste più estreme in vari Paesi. Insomma, l’espressione di voto è anche figlia del rilevantissimo numero di migranti economici che stazionano nelle nostre città, della lentezza nel discernere tra chi ha effettivamente diritto all’asilo e del non aver posto un adeguato accento sui doveri oltre che sui diritti.

Tutti i sondaggi sono concordi nell’indicare il fallimento europeo sull’immigrazione come la causa principale della sfiducia crescente nelle istituzioni comunitarie. Questo fenomeno epocale si manifesta in forma massiccia da almeno un decennio, eppure lo si è finora affrontato con la logica dell’emergenza. Una scelta profondamente sbagliata sia in termini politici – perché mina l’autorevolezza dei governi delle democrazie occidentali, i cui egoismi nazionali evidenziano l’inconsistenza di una vera politica comune dell’Unione europea – sia in termini economici. Mancano tutt’oggi la definizione e il rispetto di regole chiare, controlli accurati dei richiedenti asilo e soprattutto criteri di selezione della forza lavoro che preme alle nostre frontiere.

I costi di questa immigrazione incontrollata ricadono innanzitutto sul nostro Paese. Una recente ricerca del Centro studi ImpresaLavoro ha infatti rivelato come nel triennio 2014-2016 l’emergenza migranti sarà costata all’Italia circa 6 miliardi 145 milioni (1 miliardo 399 milioni nel 2014, 2 miliardi 115 milioni nel 2015 e 2 miliardi 629 milioni nel 2016). La voce di costo più importante è quella dell’accoglienza in senso stretto, quindi il vitto e alloggio dei soggetti per cui si è provveduto all’identificazione e all’inserimento nelle liste di coloro che hanno richiesto asilo: alla fine del 2016 l’importo complessivo sarà stato di 3 miliardi 668 milioni (più di 643 milioni nel 2014, quasi 1,3 miliardi nel 2015 e 1 miliardo 752 milioni nel 2016). Gli sbarchi avranno generato circa 87 milioni di altri costi per la primissima assistenza (trasporti, noleggio strutture presso i porti, acquisto di coperte, indumenti, etc.), ai quali vanno aggiunti 1,2 miliardi di costi militari (pattugliamento delle coste, rafforzamento delle frontiere, le missioni navali e aeree, contributi italiani alle missioni Frontex e EuroForNavMed).

Si tratta di cifre che non potevano essere smentite e che oggi trovano un’implicita conferma nella denuncia delle Onlus, delle organizzazioni umanitarie e delle strutture private che gestiscono in convenzione i servizi nei centri governativi di accoglienza: dallo scorso aprile il Viminale ha infatti sospeso loro i pagamenti per mancanza di fondi, tanto che adesso servono subito 600 milioni per evitare che questo sistema vada in tilt.

Sono alle viste importanti competizioni referendarie ed elettorali in Austria, Germania, Ungheria. In assenza di soluzioni politiche, che regolamentino il fenomeno e cerchino soluzioni europee comuni e non la competizione tra Stati, correremo il rischio di un’Europa dominata dai facili populismi dell’oggi e incapace di una strategia credibile per il futuro. Proprio l’esatto opposto di quel che servirebbe. Si arriva così al contrappasso emblematico degli extracomunitari svizzeri che non esitano a trattare come tali gli stessi lavoratori transfrontalieri italiani. Un muro contro muro che non fa bene a nessuno.

Massimo Blasoni

Imprenditore e presidente del Centro studi ImpresaLavoro
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