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Ubi e Banco Popolare spalmano sui correntisti i costi del salvataggio di Banca Etruria

Pier Francesco Saviotti

C’è chi lo chiama prelievo forzoso, chi stangatina sui conti correnti, chi aumento delle spese. Al di là delle definizioni e delle interpretazioni, sta di fatto che alcune banche italiane hanno spalmato i costi per il salvataggio delle 4 banche andate in risoluzione (ossia Banca Etruria, Banca Marche, Cari Ferrara e Cari Chieti) sui correntisti.

Non è una mera supposizione, o indiscrezione giornalistica. E’ quanto gli stessi istituti in questione – ossia in particolare Ubi e Banco Popolare – hanno confermato al quotidiano il Giornale.

Tutto nasce dagli oneri che il sistema bancario italiano ha sostenuto per finanziare il Fondo nazionale di Risoluzione che si occupa, appunto, della risoluzione delle 4 banche andate di fatto in default.

Banco Popolare, secondo quanto ha scritto Linkiesta e ripreso oggi dal Giornale, sta informando i correntisti (cui è comunque riconosciuto il diritto di recesso) che sarà imposta una tassa una tantum di 25 euro da pagarsi a fine dicembre, sottolinea il quotidiano milanese. Mentre Ubi ha previsto un incremento di 12 euro annui del canone dei conti correnti.

Ma cosa dicono i vertici delle due banche? Ecco la risposta che ha ricevuto il Giornale.

La versione di Ubi Banca guidata da Victor Massiah è la seguente: “L’incremento di 12 euro annui del canone dei conti correnti non è legato a tassi di interesse bassi o negativi o alle condizioni generali dell’economia, ma un vero e proprio aumento dei costi di produzione che la banca sostiene per determinare i depositi della clientela. Tra questi anche il fondo interbancario. Costi che nel solo 2016 ammonteranno circa a 60 milioni e che in precedenza non c’erano. Questi costi verranno condivisi con i clienti (il recupero degli stessi per la banca non è integrale) che in cambio ne riceveranno una sorta di ulteriore assicurazione”.

Ecco cosa dice Banco Popolare guidato dall’amministratore delegato Pier Francesco Saviotti (nella foto): “Ci siamo trovati a dover pagare 152 milioni di euro circa al Fondo nazionale di Risoluzione (che, in caso di default, copre il singolo correntista fino a 100mila euro), rispetto alle poche decine di milioni che versavamo abitualmente. Abbiamo preferito affrontare con chiarezza la situazione piuttosto che inserire dei costi nascosti tra le righe dei contratti”.

Da notare, scrive il Giornale, che anche altri istituti,”come Unicredit, hanno alzato i costi di alcuni profili di conto corrente, pur negando che una simile manovra sia collegata alla crisi dei quattro istituti di credito”. I dettagli su quanto deciso da Unicredit e sulle motivazioni del gruppo guidato da Jean-Pierre Mustier li riporta il quotidiano La Stampa: “Dal primo luglio scorso Unicredit ha ritoccato il canone mensile di alcune tipologie di conto corrente (i conti denominati MyGenius Silver, Gold e Platinum) di circa 2 euro al mese, portando il costo totale rispettivamente a 5, 7 e 12 euro al mese. In questo il riferimento, comunicato ai clienti con l’estratto conto del primo trimestre di quest’anno, fa riferimento ad una serie di «eventi» che hanno comportato maggiori costi per l’istituto. Tra questi c’è l’entrata in vigore dell’accordo Facta sul contrasto all’evasione fiscale (che è operativo dal 2014), l’aumento dell’Iva (che risale al 2013), l’adeguamento del sistema informatico e anche l’accordo per la costituzione del «single resolution fund», il fondo di risoluzione europeo in vigore dal primo gennaio di quest’anno che sarà chiamato ad intervenire per evitare fallimenti bancari a livello continentale”.

Inoltre CheBanca!, secondo quanto risulta al Corriere della Sera, sta alzando le spese per via delle aumentate commissioni interbancarie sulle carte di credito. Motivazione addotta anche da Unicredit.

Il Fondo di risoluzione – ricorda il Corriere della Sera – ha versato quasi 1,8 miliardi (1,763, per la precisione) per salvare le quattro banche, che ora cercano acquirenti sul mercato, disposto a pagare secondo indiscrezioni solo circa 400 milioni. Lo sbilancio è di quasi un miliardo e mezzo: una perdita secca, soldi che pesano sulla voce «costi» nei bilanci delle banche sane, che al Fondo contribuiscono.

In conclusione, sorge una domanda: ma non si era detto che i costi per la risoluzione di Banca Etruria, Banca Marche, Cari Chieti e Cari Ferrara sarebbe stati accollati solo al sistema bancario e non anche ai clienti dello stesso sistema bancario?

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