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Cosa fa l’Europa per Aleppo?

Durante la plenaria del Parlamento Europeo, mercoledì 5 ottobre, il liberale ex primo ministro belga e ora presidente del raggruppamento UE Alde Guy Verhofstadt ha dipinto con lucidità la situazione attuale di Aleppo, la seconda città della Siria dove imperversano da due settimane i combattimenti tra regime e ribelli. Un paradigma della situazione generale del conflitto, “non stiamo facendo niente per le forze moderate”, ha detto Verhofstadt, “non siamo stati capaci di inviare aiuti nonostante ci abbiamo provato diverse volte, perché noi abbiamo fallito in Siria e abbiamo fallito ad Aleppo”.

L’EUROPA NON C’È

Per il leader politico belga già candidatosi alla presidenza della Commissione europea, tutto nasce da quando Barack Obama segnò la red line sulle armi chimiche, e dopo le violazioni di Damasco con l’attacco dell’agosto 2013, non rispettò i propri impegni – attaccare le postazioni militari di Bashar el Assad, come minacciato – cedendo alle richieste di mediazione avanzate dalla Russia: gli abbiamo dato un messaggio, dice GV, basta che non usi le armi chimiche (che furono più o meno smantellate sotto il controllo degli osservatori internazionali), per il resto puoi fare ciò che vuoi. Poi c’è “la completa assenza dell’Europa” dalla crisi: “Siamo onesti, la Russia e gli Stati Uniti ci stanno negoziando sopra alla testa”. “Vi prego, iniziamo a ragionare su un progetto di difesa comune, che è l’unico modo con cui negli anni futuri possiamo rendere sicuri i nostri confini”, aggiunge: nell’immediato invece propone di alzare altre sanzioni sulla Russia, una proposta che trova sostenitori anche tra i politici tedeschi.

LA FRANCIA CERCA UNO SPAZIO DI MEDIAZIONE

C’è nervosismo tra alcuni paesi europei, come la Francia per esempio, per questa esclusione, che d’altronde è frutto di un disinteresse generale che dura da anni (per esempio: quale è stato concretamente il ruolo ricoperto dai governi italiani che si sono succeduti durante questi cinque anni di crisi? Che proposte avanza Roma in questa situazione drammatica?). Parigi aveva già espresso preoccupazione per essere stata messa in disparte dai dettagli più stringenti dell’accordo russo-americano raggiunto all’inizio di settembre: ora che quell’intesa è saltata in aria, con i convogli umanitari spediti ad Aleppo (novità: i russi dicono che è stata una messa in scena, ma il satellite UNOSAT ha registrato un attacco aereo), il ministro degli Esteri francese Jean-Marc Ayrault ha in mente come obiettivo fare da paciere tra le due superpotenze. Prevista una sua visita a Mosca, giovedì 6 ottobre, e un’altra a Washington il giorno seguente. Ayrault dice di voler parlare chiaro con i russi, che “devono smetterla di essere complici di crimini di guerra” – quelli legati alle bombe su quei convogli della Mezzaluna, o sugli ospedali o i panifici – e allo stesso tempo vuole chiedere agli americani di impegnarsi di più e di dimenticare il laissez-faire che accompagna questo momento pre-elettorale.

LA BOZZA ONU

Lunedì il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha iniziato a lavorare su una bozza per un documento che metta nero su bianco una nuova tregua, promosso proprio dalla Francia con la sponda spagnola. La Reuters – che ha avuto modo di osservare il testo – scrive che tra le proposte c’è che Russia e Stati Uniti si facciano garanti della cessazione delle ostilità, che venga posta fine ai voli sopra Aleppo come primo step operativo, e poi chiedere al segretario Ban Ki-moon di predisporre le misure perché l’Onu monitori il cessate il fuoco (con la possibilità di “ulteriori passaggi” se dovessero esserci violazioni). È più o meno quello che c’è scritto nella risoluzione 2254 già approvata dal CdS a dicembre dello scorso anno, che vieta i bombardamenti sui civili, permette l’accesso agli aiuti umanitari, limita la campagna militare per quello che non riguarda lo Stato islamico e l’ex qaedista al Nusra. Solo che, per riprendere le parole di Verhofstadt, “c’è un problema chiaro”: “La Russia sta facendo esattamente l’opposto, bombarda i civili, stoppa e colpisce gli aiuti umanitari, non combatte Daesh (ossia l’IS. ndr) e Nusra ma le forze moderate che si oppongono ad Assad”. “Questo è quel che accade, e l’unico modo per uscire da questo stallo è una nuova strategia” dice Verhofstadt.

L’OSTRUZIONISMO RUSSO, IL NERVOSISMO DAL GOLFO

Il fatto è che a quanto pare la Russia non ha grosse intenzioni di accettare la nuova bozza in discussione all’Onu – che si occupa della questione dato che gli Stati Uniti sono usciti ufficialmente dai colloqui con Mosca, ufficiosamente invece una telefonata tra i rispettivi ministri degli Esteri sembra ci sia stata anche mercoledì. Vitaly Churkin, l’ambasciatore russo all’Onu, ha dichiarato che sta collaborando alla stesura dell’intesa, anche se non era molto entusiasta del linguaggio usato nel testo: fonti anonime hanno detto alla Reuters che in realtà “i russi hanno fatto opposizione su ogni singolo punto e virgola inserito nel documento”. Ma oltre la Russia ora c’è da tenere a bada i paesi del Golfo alleati dell’Occidente. Il ministro degli Esteri del Qatar, lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman al Thani, ha detto che dopo 14 giorni di bombardamenti infernali ad Aleppo è arrivato il momento di “muoversi molto velocemente per proteggere i civili siriani”, e questa affermazione si porta dietro un sottinteso. Doha, insieme a sauditi e turchi, sta sponsorizzando dal punto di vista economico e logistico un programma della Cia che è in piedi da circa tre anni e che prevede l’addestramento di alcune fazioni ribelli alle quali sono stati consegnati anche dei missili anticarro, i Tow. Chi segue i lanci di questi sistemi ha notato che negli ultimi mesi sono calati sensibilmente, mentre sul finire dello scorso anno si erano raggiunti i massimi picchi dall’inizio del piano: questo è probabilmente frutto di una richiesta di de-escalation voluta da Washington che supervisiona il tutto e potrebbe aver rallentato i passaggi di Tow ai ribelli. Ora i cosiddetti partner regionali sono infuriati, perché mentre loro hanno bloccato le sovvenzioni alle opposizioni, Mosca – che aveva ufficialmente annunciato uno pseudo ritiro a marzo – ha de facto mantenuto intatto l’arsenale militare in Siria (negli ultimi giorni sono arrivati altri bombardieri e le navi rinforzi del cosiddetto Syrian Express continuano a solcare il Bosforo, ultimamente anche in compagnia di corvette con missili da crociera). Ora Turchia, Arabia Saudita, Qatar, starebbero pressando per allargare il programma già in piedi all’uso dei missili anti-aerei, questione su cui gli Stati Uniti sono sempre stati scettici per paura che poi quelle terribili armi possano finire nelle mani di chi vuol compiere un attentato: ma l’argomento gira tra i pianificatori del Pentagono e dell’intelligence (altra idea che inizia a circolare di nuovo a Washington è quella di colpire Assad, racconta il Washington Post, ma sembra abbasta fantasiosa). È un piano B, anche se rischioso. Un altro, altrettanto pericoloso, riprende una linea non esplicitamente citata nel documento di tregua in preparazione: creare su Aleppo una no-fly zone. Potrebbe essere una soluzione, molto complicata, che potrebbe bilanciare il nuovo schieramento dei sistemi A2/AA (Anti-Access / Air Denial) russi, ossia le batterie di missili anti aerei S300 che per la prima volta Mosca ha disposto al di fuori della propria giurisdizione a Latakia e Tartus, Siria assadista mediterranea. Dei sistemi che trasformano Aleppo in una “free-bombing zone”, una zona dove poter bombardare liberamente protetti da terra da eventuali interferenze aeree.

ALEPPO

Nel frattempo le notizie che arrivano da Aleppo continuano ad essere tragiche. Si parla di madri che si sono strette in vita delle corde molto tese per chiudersi fisicamente lo stomaco e non soffrire i morsi della fame, visto che quel poco di cibo che c’è lo devono dare ai propri bambini. Mentre le bombe continuano a cadere. Il Wall Street Journal ha parlato con uno dei comandati delle famigerate milizie sciite irachene (quasi tutte considerate gruppi terroristici, molto attive contro i soldati occidentali negli anni dopo il 2003). Secondo l’ufficiale dall’inizio di settembre sono arrivati in Siria migliaia di questi combattenti ideologizzati pronti a dar man forte alle operazioni di terra del regime (Assad è alawita, una setta sciita su cui l’Iran, che muove le milizie ideologiche in tutto il mondo, si sente il dovere di protezione). La loro presenza aumenta l’aggressività dello scontro con i gruppi islamisti sunniti presenti ad Aleppo e rappresenta un motivo in più per i paesi del Golfo (sunniti) che vogliono spingere sull’acceleratore dei rinforzi: tra l’altro non è chiaro quanto la Russia abbia il controllo di questi alleati indiretti, che sono mossi più che altro dalla propaganda settaria di ayatollah e predicatori.

(Foto: 2013, Guy Verhofstadt e Salim Idris, rappresentate politico-militare dei ribelli del Free Syrian Army)

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