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Così la libertà di stampa sta diventando un optional in Ungheria

viktor orban ppe

L’otto ottobre, Népszabadság (“Per la libertà del popolo”), ha sospeso le pubblicazioni a stampa e online, e in sostanza ha chiuso. Era il principale e storico quotidiano ungherese di sinistra o centro-sinistra, indipendente anche nelle critiche alla propria area, all’opposizione rispetto al governo di Viktor Orbán. Attorno al caso si è raccolta molta attenzione occidentale, con commenti e notizie dai principali quotidiani e media, preoccupati dell’ulteriore stretta sulla libertà di stampa, che collegano ad altri indebolimenti allo stato di diritto e al mercato aperto.

Secondo il freddo testo pubblicato sul sito del giornale dall’azienda proprietaria, Mediaworks, le ragioni sono economiche: le perdite hanno raggiunto una media di 1,6 milioni di euro all’anno per un decennio, occorre un nuovo modello di business, che richiede tempo e riorganizzazione. Le ragioni paiono a tutti invece politiche, come testimonia uno stesso rappresentante del partito di Orbán, Szilárd Németh, secondo cui era ora che Népszabadság chiudesse. Anche in tempi recenti il giornale aveva prodotto dolori d’immagine per esponenti del partito di Orbán. Il direttore della banca centrale, György Matolcsy, avrebbe prima assunto con lauto stipendio la sua giovane nuova fidanzata, per poi spostarla dopo le critiche in una fondazione in cui l’importo dello stipendio non è pubblico. Il capo di gabinetto di Orbán, Antal Rogán, alla vigilia del referendum sui migranti, sarebbe andato in elicottero (a spese pubbliche) al matrimonio di una popolare starlette di una soap opera.

LA LINEA ERA TRACCIATA

Mediaworks, 80 milioni di fatturato, proprietà di Vienna Capital Partners, detiene Népszabadság dal 2014, quando l’ha acquisito insieme a testate sportive e locali dal gruppo svizzero Ringier, per cui la fusione con la tedesca Axel Springer comportava problemi di concentrazione. Nel 2015 il partito socialista ungherese aveva ceduto le sue restanti quote, poco oltre il 27%, rinunciando all’iniziale intenzione di ricomprare la testata. Le voci di acquisizioni e di vendita – nell’orbita di soggetti vicini alla Banca centrale – sono state nell’aria sin da gennaio 2016. Tra giugno e luglio la stampa ungherese ha riportato di incontri tra Heinrich Pecina, amministratore di Vienna Capital Partners e il presidente Orbán, prefigurando spostamenti di proprietà. Il 30 agosto, è stata necessaria una smentita alle voci che annunciavano la vendita a favore di Mészáros Lőrinc, persona dell’area di Orbán, dotata di grandi mezzi economici e attiva nel sistema degli appalti pubblici.

Lo schema è parso simile alla sorte del sito web Origo, diventato più mite dopo l’acquisizione di una società vicina alla Banca centrale. Già prima della vendita, il direttore era stato licenziato in tronco su disposizione dell’editore, una sussidiaria di Deutsche Telekom, dopo critiche aperte a János Lázár, uomo di punta del governo. La relazione con alcuni ambiti economici e politici tedeschi riemerge poi in varie occasioni, come anche nel caso di Népszabadság.

USCITA LEGGERA

In piazza Kossuth a Budapest si sono riunite un migliaio di persone, Mediaworks ha dato disponibilità al dialogo con i giornalisti, il presidente del parlamento europeo Martin Schultz ha espresso la sua solidarietà così come i colleghi polacchi, alcuni hanno fatto notare che il giornale nel 2015 era in attivo, pur essendo caduto sino a 46.000 copie dalle 71.000 del 2010 (e dalle 200.000 del 2000).

Così si aggiunge un altro tassello al percorso di instabilità ungherese sotto il premier Orbán, criticato in Occidente ma relativamente ben difeso dal proprio sistema interno, con aperture al modello “meno-democratico” di marca orientale e putiniana, con una posizione abbastanza ascoltata all’interno del gruppo di Visegrad e un consenso interno piuttosto solido, malgrado il recente mancato raggiungimento del quorum al referendum migranti.

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