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Intervista al Senatore Vannino Chiti sulle riforme

Senatore Chiti, Matteo Renzi ha fatto un’apertura molto importante in Direzione Nazionale, per discutere di modifiche all’Italicum e per approvare una modalità condivisa di elezione dei nuovi senatori. C’è però molta diffidenza da parte di molti… Secondo lei, questa commissione è un modo per distrarre le minoranze del PD o è un impegno serio del Premier/Segretario?

Renzi nella Direzione del Pd ha assunto un impegno chiaro, sottoposto al voto dell’organo di governo del partito: l’Italicum può essere modificato in tutti gli aspetti critici che avevamo sottolineato, insieme ad altri 23 senatori del Pd e ad altri colleghi della Camera, quando non lo votammo; al tempo stesso il Ddl per l’elezione diretta dei senatori da parte dei cittadini che ho sottoscritto insieme a Fornaro, Tocci e altri colleghi, è stato assunto come proposta del Pd.

Non dare credito a questa mossa sarebbe sbagliato, la dimostrazione di non voler aprire un dialogo costruttivo. Bisogna invece impegnarsi per un esito positivo. È anche un modo per vincolare il segretario all’impegno assunto: mettiamoci dunque al lavoro, troviamo i punti d’intesa, magari sottoponiamoli a un nuovo voto in Direzione o nei Direttivi dei gruppi parlamentari, iscriviamo proposte di modifica all’O.d.g. della commissione Affari costituzionali della Camera e giungiamo – inevitabilmente dopo il referendum – a una approvazione definitiva in Parlamento.

Partiamo dall’Italicum. Esiste già una proposta di legge depositata da tempo che si chiama Mattarellum 2.0. Secondo alcuni sarebbe addirittura più maggioritaria dell’Italicum e non se ne discosterebbe molto. Ci può dire quali sono gli aspetti principali di questa proposta e che cosa cambierebbe in sostanza dell’Italicum? 

Io non ho sottoscritto quella proposta di legge perché non ne condivido alcuni aspetti. Non sono d’accordo sul doppio premio di maggioranza al primo partito (90 seggi) e al secondo (30), né con la distribuzione di alcuni seggi, come diritto di tribuna, a tutte le piccole liste che superano il 2%: a me pare un incentivo alla frammentazione, favorendo i partiti troppo piccoli e dando loro un peso eccessivo, come avvenne in passato. La soglia di sbarramento deve rimanere al 3%. In ogni caso apprezzo della proposta l’iniziativa che sollecita in modo costruttivo un cambiamento dell’Italicum.

E ora sul Senato: se dovesse passare il Sì al referendum il nuovo Senato, al momento, non si sa come si costituirebbe. Questo è stato ed è uno degli elementi critici di questa riforma. Secondo alcuni un voto a favore nel referendum sarebbe come un assegno in bianco. 

Non è così. La Costituzione, all’articolo 2 comma 5, dice chiaramente che i nuovi senatori/consiglieri regionali dovranno essere eletti “in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi”, secondo le modalità stabilite da una legge ordinaria.

Sarebbe stato preferibile inserire, nel progetto di riforma costituzionale, la norma relativa all’elettività al comma 2 dell’articolo 2: purtroppo la presidenza del Senato non l’ha consentito. E’ stato così possibile inserirla al comma 5. La possibilità c’era un anno prima, quando la riforma iniziava il suo iter al Senato, ma a quel tempo nel Pd non si aprirono spazi per un’intesa.

É in ogni caso evidente, senza possibilità di equivoco o confusione interpretativa, che i cittadini per scegliere dovranno esprimere un loro voto sui candidati. La legge dovrà essere approvata entro la fine di questa legislatura, altrimenti le future elezioni regionali – dopo una prima tornata transitoria – sarebbero a rischio di incostituzionalità. C’è un impegno unitario del Pd per sostenere la proposta che abbiamo presentato al Senato.

Ecco, c’è una proposta depositata a gennaio 2016 a firma Fornaro,Chiti, Lo Giudice, Ricchiuti e altri. Può dirci quale è la vostra proposta in modo che tutti possano capire? Il testo è abbastanza complicato.

I cittadini avranno due schede: una per eleggere i consiglieri regionali, oltre che il presidente della Regione, e una per scegliere i consiglieri che si candidano anche per il Senato. In quest’ultima troveranno un nome per ogni partito, quindi ogni regione sarà divisa in tanti collegi uninominali quanti sono i posti da senatore da assegnare. La legge sarà proporzionale, perché il Senato non darà più la fiducia ai governi. Alla fine si conteranno i voti complessivi presi dai vari partiti e si stilerà una classifica dei candidati di ogni partito: i più votati in termini percentuali si aggiudicheranno i posti che spettano al partito. Se il Pd in Toscana avrà diritto, in base ai voti presi nella scheda per il Senato, a 3 senatori, i 3 nomi più votati nei vari collegi avranno i 3 seggi. In realtà è un sistema semplice, che assicura la scelta diretta dei cittadini e un legame tra eletti e elettori. I cittadini conosceranno nomi e volti di chi rappresenterà la Regione al Senato.

Secondo alcuni, se questa proposta dovesse passare, sarebbe un passo in avanti, ma non risolverebbe un problema cruciale: nella riforma della Costituzione è specificato che sono i Consigli regionali a nominare i senatori.

Come dicevo prima, sarebbe stato preferibile introdurre l’elettività dei senatori al comma 2 dell’articolo 2, laddove c’è scritto quello che lei dice. Ma il comma 5 è chiaro nel dare un ruolo ai cittadini. In questo modo il comma 2 è inteso come una semplice presa d’atto dei Consigli che dovranno adempiere al passaggio formale di ratificare, come senatori, i candidati scelti dai cittadini. Lo ripeto: si tratta di una ratifica. D’altra parte non è la prima volta: così si svolse l’elezione dei presidenti delle Regioni nel 1995, me compreso in Toscana.

Se passasse la vostra proposta, ci sarebbe una seconda scheda con cui i cittadini eleggono i senatori. In che modo questa opzione si sovrappone al testo della Costituzione riformata? Non c’è il rischio che i consigli regionali, dato che sono indicati come coloro che “nominano” i senatori, possano ignorare l’esito del voto dei cittadini?

Le sembra immaginabile che dei Consigli regionali ignorino la scelta operata dai cittadini alle elezioni, con una apposita scheda, prevista da una legge ordinaria, coerente con il dettato della Costituzione, come attuazione del comma 5 che impone la “conformità alle scelte espresse dagli elettori”? Oltretutto la nostra Costituzione, nei suoi principi guida, fa riferimento in modo esplicito alla sovranità dei cittadini come ad un cardine della democrazia.

Capito. I tempi stringono e ci sono dubbi, tentennamenti, poca fiducia dentro e fuori al PD. Lei crede che questa commissione e i lavori poi parlamentari potranno consentire l’approvazione delle vostre proposte prima del 4 dicembre? 

No. Per quanto riguarda la legge per l’elezione dei senatori, non può essere né votata né discussa in Parlamento prima che venga approvata dal referendum la nuova Costituzione.

Quanto all’Italicum, non ci sono i tempi per un’approvazione in Parlamento delle modifiche necessarie entro il 4 dicembre. Le forze di opposizione alzerebbero delle barricate: fanno dell’Italicum (che pure Forza Italia è stata determinante per approvare al Senato) una delle ragioni per il NO al referendum. Abbiamo già in questo Paese troppe occasioni di contrapposizione per dar vita ad altre. Possiamo e dobbiamo tuttavia giungere in tempi brevi a definire le modifiche alla legge elettorale per la Camera e a delineare i tempi per la loro approvazione dopo il referendum.

Senatore Chiti, un’ultimissima domanda, il PD è cambiato. E sta cambiando. Credo che a prescindere dall’esito di questo referendum il 5 dicembre dovremmo aspettarci un PD diverso in toto da quello che conosciamo.

Il Pd che avevamo immaginato non è mai nato del tutto. La mia idea è quella di un Pd come una Sinistra plurale, impegnata per la costruzione di una democrazia sovranazionale europea, per uno sviluppo ambientalmente e socialmente sostenibile, per la diffusione dei diritti e della partecipazione.

Sono fermamente convinto che una frammentazione del Pd – cosa diversa di una scissione che nessuno deciderà e nessuno vuole – determinerebbe un vuoto politico, che renderebbe più fragile la democrazia italiana e aprirebbe varchi ampi al populismo reazionario.

Ha pensato a qualche possibile conseguenza? E che cosa si augura in questo momento per il suo partito?

Abbiamo il dovere di pensare in modo positivo e di impegnarci coerentemente. Il mio augurio è che il Pd diventi la forza politica che avevamo immaginato: aperta, ricca di idee, partecipazione, confronto; in sintonia con le esigenze e le trasformazioni sempre più veloci che caratterizzano la società.

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