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Terrorismo e sicurezza in cima alle preoccupazioni mondiali. Sondaggio Csis

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Un sondaggio del Center for Strategic and International Studies (CSIS), think tank washingtonian presieduto da John Hamre, vice segretario alla Difesa sotto Bill Clinton, dimostra una realtà schiacciante: la maggioranza degli intervistati – 8000 partecipanti distribuiti equamente tra Cina, Egitto, Francia, India, Indonesia, Turchia, Regno Uniti e Stati Uniti – crede che i propri governi non stanno facendo abbastanza per combattere il terrorismo.

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Di più, in molti approverebbero ogni genere di pratica per stringere maggiormente la cinghia sui controlli, ivi incluse le annose discussioni sul monitoraggio di email, telefonate, social network, da parte dei governi, o quelle su campagne più rigorose circa l’immigrazione o sulle libertà di culto e predicazione (il 70 per cento dei francesi ritiene che dovrebbe essere diminuita la libera circolazione tra paesi europei). Insomma, tra privacy, libertà e sicurezza, il campione del CSIS ha scelto la sicurezza, perché teme che nel futuro imminente il proprio paese potrebbe essere colpito da azioni terroristiche.

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E questo succede anche negli Stati Uniti, il regno delle libertà: si fa un gran parlare delle (grandi) percentuali di territorio che sono uscite dal controllo dello Stato islamico, si parla meno di quanto l’Isis abbia cambiato la percezione delle realtà e minato alcuni fondamenti democratici nella società globale, non solo nelle aree in cui manifestava la propria dimensione statuale – la dimensione terroristica è globale, d’altrnde. Dati come questi sono chiari.

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“È la dimostrazione che c’è tanta paura e ansia per il terrorismo e la portata dei gruppi terroristici, la gente è disposta a provare qualsiasi cosa, persino rinunciare a protezioni costituzionali”, ha detto al Washington Post Shannon Green, che è capo della Commission on Countering Violent Extremism del CSIS. Sette turchi su dieci (4/10 in Francia) ritengono il terrorismo la maggiore delle preoccupazioni, che negli americani diventa la secondo dopo la situazione economica, e in India invece dopo la corruzione. In Cina la percentuale più bassa tra coloro che ritengono che entro il prossimo anno il loro paese possa essere colpito da un’azione terroristica, il 56 per cento, il 94 in Francia, dove tra pochi giorni si commemorerà l’anniversario della strage di Parigi.

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C’è una lacuna evidente nella percezione delle cause dell’estremismo violento tra gli intervistati nelle nazioni dove i musulmani sono la maggioranza e quelli in cui sono una minoranza. Per chi vive in Francia, Regno Unito e Stati Uniti la colpa di certe azioni ricade nella messa in atto delle predicazioni islamiche radicali acuite da sentimenti anti-occidentali, mentre in Egitto, Indonesia e Turchia è chi “vuole mettere in cattiva luce l’Islam” il colpevole degli attentati. Ognuno ovviamente osserva il terrorismo in base ai valori culturali della società da cui proviene. Il sondaggio rivela anche che la maggior parte delle persone ritiene la soluzione militare come un metodo necessario ma non esclusivo: in molti ritengono che si debba lavorare contro la radicalizzazione in scuole e moschee.

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