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Perché l’Europa è imbelle su profughi e migranti. Rapporto Cnr

Pubblichiamo un breve estratto dell’edizione 2016 del “Rapporto sulle economie del Mediterraneo” del Consiglio Nazionale delle ricerche curato da Eugenia Ferragina e presentato oggi a Napoli

Il trattato di Schengen ha consentito di allargare alla manodopera il libero movimento di merci, capitali e servizi, portando nel 2014 a 14 milioni i cittadini dell’Unione residenti in un paese diversi da quelli di origine. Ma l’abbattimento delle barriere interne all’Unione non è stato accompagnato da un sistema efficace di gestione delle frontiere esterne e di politiche comuni in materia di visti e richieste di asilo.

TUTTO IL POTERE E GLI ONERI SUGLI STATI

Tale debolezza si è accompagnata ad una riaffermazione del primato dello Stato nazione, demandando al potere esecutivo dei singoli Stati – rappresentati in ambito comunitario dal Consiglio europeo – le principali decisioni in materia migratoria. Questo ha fatto sì che la gestione della crisi è restata ostaggio delle emergenze politiche nazionali e non si è creato uno spazio di dibattito legato al bene comune dell’Europa, né si è rafforzato il senso di identità e di appartenenza ad una comunità fatta innanzitutto di condivisione di valori.

IL SEGNALE DELLA GERMANIA

Se nell’estate del 2015 la Germania si è fatta interprete della difesa del principio dell’accoglienza di popolazioni in fuga dalla guerra, sostenuta in questa posizione da Austria e Svezia, nell’anno successivo la dinamica della crisi dei rifugiati ha indebolito il fronte della tolleranza, con il progressivo disimpegno della Germania e il supporto dell’Austria alla chiusura della rotta balcanica. L’accordo con la Turchia del marzo 2016 ha segnato una fase di esternalizzazione del controllo delle frontiere, assegnando a questo paese il ruolo di contenimento dei flussi dei richiedenti asilo, in cambio dell’impegno europeo di redistribuire tra i paesi membri una quota dei richiedenti asilo presenti nel paese.

RISCHI E SCENARI

Quello che sembra riemergere è dunque la vecchia concezione della «fortezza Europa» che non regge ad una realtà dei fatti che vede l’Unione europea troppo vicina ad aree geograficamente contigue, molto popolose e legate da profondi legami economici, politici e culturali all’Europa. Qualsiasi tentativo di isolamento dalle aree di crisi che si trovano sull’altra riva del bacino rischia di essere impraticabile sul piano logistico, costoso su quello economico e fallimentare dal punto di vista della salvaguardia degli interessi europei nella regione.


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