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Cosa succederà in caso di vittoria del Sì (o del No) al referendum

Il gioco preferito dei parlamentari in questi giorni in cui Camera e Senato sono completamente paralizzati per il referendum (diverse le leggi in stand by in attesa dell’esito del 4 dicembre) è “il gioco del dopo”, ovvero azzardare teorie, ipotesi, trame e architetture per il dopo referendum. Così nei crocicchi in Transatlantico, seduti sui divanetti, davanti a una pietanza al ristorante di Montecitorio o sorseggiando un caffè alla buvette, gli scenari si accavallano. Se, per esempio, dovesse vincere il Sì, gli ultimi spifferi dal Palazzo sussurrano che Matteo Renzi difficilmente si sfarà sfuggire l’occasione di cavalcare l’onda del successo per andare a elezioni anticipate nella primavera del 2017. Ipotesi, questa, confermata anche da Massimo D’Alema nelle conversazioni di questi giorni. “Il premier vuole un plebiscito su di sé: se vince il referendum, modificherà l’Italicum inserendo le coalizioni al posto delle liste come vogliono Alfano e Verdini, per poi andare dritto al voto, il prossimo anno”, sono le parole dell’ex premier. Su questo scenario peserà però la misura della vittoria: se il Sì dovesse prevalere di poco e con un’affluenza moderata, difficilmente il premier azzarderà le urne.

E se invece vincesse il No? Qui gli scenari si moltiplicano. Ma tra la ridda di ipotesi, tre sono le principali. La prima è quella cui lavorano alacremente Denis Verdini e Angelino Alfano: il Renzi bis. Verdini in questi giorni è senza tregua: nel suo ufficio al partito, in via Poli, e al ristorante il Moro, a due passi da Fontana di Trevi, riceve parlamentati di ogni ordine e grado, di tutti i partiti. L’idea che ha in mente Denis è un governo Renzi – un Renzi naturalmente più debole a causa della sconfitta referendaria – sostenuto da una larga coalizione che ricomprenda, finalmente, anche Forza Italia. Insomma, un Nazareno bis. Molti nel partito azzurro ci starebbero, ma altri no perché temono di essere fregati di nuovo dall’ex rottamatore. Insomma, di lui si fidano poco. Ma l’ipotesi è in campo e Verdini ci lavora giorno e notte: un piano B, anzi R2 come lo chiamano in Transatlantico, che prevede anche drastiche modifiche alla legge elettorale in senso proporzionale. L’ultima parola, però, spetterà a Berlusconi. “Al presidente l’idea di tornare in partita e di prendersi la rivincita su Renzi non dispiacerebbe. Ma è combattuto: non vorrebbe mettere la faccia sul declino del renzismo…”, osserva un deputato azzurro ospite assiduo ad Arcore.

La seconda ipotesi è un governo con l’attuale maggioranza guidato, però, da un altro esponente del Pd. Il nome sulla bocca di tutti è quello di Dario Franceschini, che da una parte gode di un buon rapporto con Sergio Mattarella e, dall’altra, ha ancora molto seguito nella truppa parlamentare piddina visto che molti deputati e senatori sono stati eletti grazie a lui. “Allora Dario, sei pronto?”, gli ha chiesto ridendo Pierferdinando Casini incrociandolo in un corridoio di Palazzo Madama qualche giorno fa. L’idea potrebbe stuzzicare la sinistra Pd, disposta a tutto pur di liberarsi di Renzi. La vera incognita a quel punto sarebbero i renziani. Ma quelli doc sono davvero pochi: la maggior parte, invece, si dimenticherà presto di esserlo stata. Un governo Franceschini arriverebbe così al 2018: tutto, poi, si giocherebbe al congresso del Pd tra Renzi e il candidato che il resto del partito gli presenterà contro. Le malelingue del Transatlantico sussurrano che un governo Franceschini servirebbe a stoppare la marcia di Enrico Letta verso la candidatura alternativa a Renzi.

Infine, la possibilità di un governo istituzionale. Il nome che si fa è quello del presidente del Senato, Pietro Grasso. Con l’aiuto di Giorgio Napolitano, che da qualche tempo ha deciso di separare il suo destino da quello di Renzi. Il gossip di questa settimana vede protagonista proprio l’ex presidente della Repubblica. Il quale avrebbe chiesto a Mario Monti (ebbene sì, il professore!) se fosse disponibile a entrare in un esecutivo di alto profilo come ministro dell’Economia. La risposta sarebbe stata negativa, ma è la conferma dei movimenti che si consumano tra Palazzo Madama e Palazzo Giustiniani. Anche in questo caso Mattarella non si opporrebbe, ma resta da vedere se un esecutivo di tal fatta dovrà guidare il Paese per breve tempo, giusto per rifare la legge elettorale e andare al voto (nel 2017), oppure se arrivare a scadenza di legislatura (nel 2018). Grasso, naturalmente, spera nella seconda ipotesi.

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