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La surreale intervista di Assad

Il presidente siriano Bashar el Assad ha accolto un gruppo di giornalisti occidentali nel suo palazzo franco-ottomano di Damasco per concedere un’intervista. “Irradiava fiducia e cordialità” ha scritto Anne Barnard, una delle migliori firme tra quelle che trattano prevalentemente la guerra siriana, in forze al New York Times. Surreale il clima, surreale il messaggio. Barnard (come gli altri colleghi presenti) racconta che Assad ha sostenuto che “il tessuto sociale della Siria è stata cucito insieme molto meglio di prima” della guerra civile: “Era come se la metà dei suoi cittadini non erano stati cacciati dalle loro case e quasi mezzo milione non erano stati uccisi nei combattimenti sanguinosi, per i quali ha respinto qualsiasi responsabilità personale, accusando invece gli Stati Uniti e militanti islamici”. È un revisionismo forzato per condire di propaganda le insicurezze di parte del proprio elettorato, e ingannare la Comunità internazionale.

Assad si auto dipinge, o viene dipinto dai suoi alleati (Russia e Iran), come un presidente vicino al suo popolo, impegnato nel combattere i terroristi: e sembra, ai meno attenti, che la guerra civile sia veramente tra il governo e lo Stato islamico, mentre in realtà Damasco combatte soltanto le altre forze ribelli, tralasciando azioni contro i baghdadisti (linea veicolata dalla Russia). “Era in missione per convincere l’Occidente che i loro governi avevano commesso un errore nel sostenere i suoi avversari e che era sicuro nella sua posizione come il custode della sovranità siriana” continua Barnard. Ha parlato della certezza nella vittoria finale e del futuro del suo paese: annuncio da tenere a mente, l’esclusione di cambiamenti politici fino alla fine della guerra e la volontà di restare in carica almeno fino a chiudere gli altri sette anni di mandato conquistati con le elezioni farsa del 2014 – traguardo 2021, dunque.

La linea nota ribadita: gli Stati Uniti stanno sostenendo lo Stato islamico e gli altri terroristi, ci accusano di crimini di guerra ma nessuno parla delle malefatte delle opposizioni: in realtà, come ricorda anche Barnard, pochi giorni fa l’inviato Onu Staffan de Mistura ha condannato come crimine gli attacchi contro i civili delle aree governative commessi dai ribelli, che restano comunque di dimensione minore rispetto ai bombardamenti indiscriminati dell’aviazione lealista sui tetti delle case controllate dalle opposizioni al regime. La giornalista del Nyt ha anche chiesto conto di questo al rais siriano, e Assad ha risposto in inglese chiedendo come sarebbe possibile che “sono ancora presidente dopo cinque anni di guerra se il mio popolo non mi sostiene?”.

Tra le varie sottolineature, una sulla libertà religiosa: “Islamizzazione significa ‘Io non credo in chi non mi assomiglia, si comporta come me, pensa come me'” ha detto Assad. “Secolare significa libertà di religione”. Su questa posizione del governo siriano si basano parte delle richieste – per esempio di alcuni gruppi cattolici locali – di coloro che invitano la Comunità internazionale a sbloccare le sanzioni sulla Siria in nome dei civili (quelli più vicini al governo, però), ripercorrendo la linea di Damasco e dimenticando i crimini commessi dal sistema-Assad.

Tra le parole di Assad, mercoledì la Russia ha fatto sapere che terrà fermi i bombardieri fino a venerdì, per permettere ai ribelli di Aleppo di scappare. È del tutto probabile che questi non se ne vadano – hanno da poco lanciato un contrattacco per rompere l’assedio – e la sensazione è che tra un paio di giorni si assisterà a una crudele pioggia di fuoco. Previsto a breve anche l’arrivo nelle acque davanti alla Siria della grande task force che accompagna la portaerei Kuznetsov. Martedì prossimo ci sarà il voto presidenziale americano, il contesto perfetto per distogliere l’attenzione da un eventuale attacco finale su Aleppo.

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