Sterlina, Ftse, bond: tutti al rialzo sull’annuncio che Brexit dovrà passare al vaglio del Parlamento inglese come ha stabilito l’Alta Corte britannica. Il che ha creato la convinzione che l’uscita dall’Ue sia più lontana o forse meno drastica. Ma è davvero così? “La Camera dei Comuni per la maggioranza è in favore dell’Ue – dice a Formiche.net Claudia Segre, Presidente Global Thinking Foundation – ma il voto del Parlamento nel suo complesso, per permettere al Primo Ministro di invocare l’articolo 50 e avviare il tavolo di trattative, rimane per il 61% contrario alll’Ue. L’obiettivo dell’Ue d’altronde sarà quello di preservare la sua integrità e non incoraggiare altri Paesi a rinegoziare la propria adesione dimostrando che chi rompe gli accordi non potranno contare su benefici opportunistici. Dunque che l’ipotesi di una hard Brexit, e quindi di un’uscita complicata e con ripercussioni pesanti per la Gran Bretagna, appare praticamente inevitabile”.
C’è poco da stare allegri insomma. E gli effetti, sull’economia britannica, saranno presto visibili. Intanto, lo sono sulla valuta della Regina che da giugno ha più volte toccato i minimi di 30 anni e secondo Goldman Sachs si svaluterà ancora sino ad un 10%, con un primo obiettivo a 0,94 contro euro: un tracollo per una valuta che da sempre vale il 30% in più della divisa unica.
Un effetto che dipende anche dal deficit, sempre più strutturale, della bilancia delle partite correnti: in un Paese dove l’import vale molto di più dell’export.
STERLINA A PICCO
Ma che è soprattutto effetto del sentiment negativo: la sterlina oggi è ai minimi del 2008 ma se in quell’anno la crescita del Pil era a zero, oggi è stimata per il 2016 all’1,8%. Ovviamente, nel momento in cui l’uscita dall’Unione diventerà reale, dovrebbe essere limitato il libero scambio con l’Unione europea e il principale partner commerciale del Paese svanirebbe nel nulla, con effetti devastanti sulla bilancia dei pagamenti.
EFFETTO FINANZA
La vittima più eccellente di tutto questo sarebbe il settore finanziario. Non è un mistero che diverse banche internazionali sarebbero intenzionate a lasciare la City a brevissimo, tra la fine del 2016 e il primo trimestre del 2017, per spostare o il quartier generale o servizi come l’investiment banking o il trading in altre capitali europei più efficienti come hub per vendere i propri prodotti/servizi nell’area di libero scambio.
ATTIRARE CAPITALE STRANIERO
“L’economia inglese è denominata dai servizi, e l’export di servizi ha come partner principale l’Europa – dice Marco Aboav, head of asset allocation di Moneyfarm – Qualsiasi decisione di limitare la libera circolazione di merci e persone porterà a un’ingente riduzione dell’attività finanziaria a Londra, e non mancano le città europee che sarebbero pronte a prendere il posto di Londra. Una hard brexit porterà molto probabilmente ad un’economia più piccola, la vera carta che il governo può giocare è la decisione di abbattere ulteriormente la tassazione per attrarre capitale straniero, ma i consumi freneranno con l’impennata attesa dell’inflazione e questo renderebbe il processo dal punto di vista del budget non facile nel breve”. I costi stimati di una hard Brexit, lo ha scritto anche il Financial Times, sono di 20 miliardi di euro all’anno, che saranno prelevati dalla tassazione, mentre stare nell’Unione ha un costo pari alla metà.
ECONOMIA REALE E BOND
Inevitabilmente l’impatto si sentirà anche sul potere di acquisto dei consumatori inglesi, già tartassati dall’inflazione. E le attese di inflazione insieme all’incertezza faranno male anche ai Gilt, i titoli di Stato britannici, rendendo impossibile per il governo finanziarsi a buon mercato con nuove emissioni di debito.
Insomma, che Dio salvi la Regina, è proprio il caso di dirlo.